Giorgia Meloni abbraccia incondizionatamente le richieste dell'Alleanza Atlantica. Il risultato? Una spesa aggiuntiva di oltre 400 miliardi di euro in dieci anni, in un Paese già martoriato da una sanità
al collasso, tagli alla scuola pubblica, tagli al sociale, lavoro sempre più precario e povertà dilagante. Una vera pazzia. Un pericolo per l’Italia, se il Presidente del Consiglio considera “inevitabile” questa scelta e afferma che il Paese è “costretto ad accettarla”. Ma è davvero così? O si tratta di una ennesima
bugia di comodo per giustificare le posizioni servili verso i desiderata di Von der Leyen e di Donald Trump?
Il premier spagnolo Pedro Sánchez, che evidentemente è un vero difensore degli interessi del suo Paese e dei suoi cittadini, la smentisce clamorosamente. Ha infatti, avuto il coraggio di dire NO alla pressione congiunta di Trump, Von der Leyen e del nuovo segretario generale della NATO, Mark Rutte, dichiarando pubblicamente e senza mezzi termini che: "Il target del 5% del PIL è una follia e che le spese per la difesa sono irragionevoli".
La Spagna quindi, a differenza dell’Italia, si oppone con fermezza alla militarizzazione del bilancio pubblico. L’Italia invece, si appiattisce, anzi si "appecorona", sulle richieste delle lobby delle armi, contro ogni interesse della propria popolazione. Di fronte alle crescenti critiche sull’incremento della spesa militare, la Presidente del Consiglio tenta di sviare l’attenzione scaricando responsabilità sui governi precedenti, in particolare quello guidato da Giuseppe Conte di aver già portato la spesa al 2%. Una narrazione strumentale e distorsiva: in quel caso nei fatti, la decisione fu presa alla luce del sole, con un ordine del giorno approvato dalla Camera dei Deputati a larga maggioranza, in un contesto trasparente e democratico, al contrario di oggi, di fronte a una decisione unilaterale, imposta dal governo senza alcun confronto parlamentare reale.
Per rendere il dato meno allarmante, Meloni sostiene inoltre che solo il 3,5% sarebbe destinato alla “difesa” e l’1,5% alla sicurezza, come se questa ripartizione potesse mascherare in qualche modo la spesa complessiva o la sue reale destinazione. Una presa in giro, una manipolazione semantica che non cambia la sostanza: il 5% del PIL equivale comunque a centinaia di miliardi tolti alle necessità reali del Paese, in un momento in cui le priorità dovrebbero essere ben altre.
La pace non si costruisce con le bombe. I sostenitori della spesa militare affermano che è necessaria per garantire sicurezza e difesa dei confini, ma la storia insegna che la forza non ha mai generato una pace duratura. La pace si costruisce con il dialogo, la diplomazia, la cooperazione. Con il ramoscello d’ulivo, non con le bombe e carri armati. Secondo la Costituzione italiana, l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Dovrebbe perseguire una politica di neutralità attiva, evitando di prendere parte a schieramenti armati, innescati dalla lobby delle armi al comando. Il vero motore di questa spinta alla militarizzazione è l’influenza pervasiva e crescente delle lobby dell’industria bellica, che plasmano l’opinione pubblica e condizionano i leader politici.
L’aumento delle spese militari risponde più agli interessi economici di pochi che alla sicurezza collettiva. Si innesca così un circolo vizioso: più si spende in armamenti, più cresce il potere delle
industrie che li producono, che a loro volta spingono per ulteriori investimenti pubblici, che vedono tagli ovunque, tranne che alle armi, in sprechi di miliardi per bombe, missili e carri armati,mentre il Paese reale viene messo in ginocchio:
- Oltre 4,6 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi per mancanza di soldi in tasca.
- Nessun finanziamento per la non autosufficienza, mentre aumentano fragilità e malattie croniche.
- Tagli per 5.660 docenti e 2.174 amministrativi nella scuola.
- -3,71 miliardi di euro per stipendi nella PA, utenze, manutenzione di scuole, uffici, strade e spazi pubblici.
- Reintroduzione del blocco parziale del turn-over: ogni 4 pensionamenti, solo 3 assunzioni.
- Riduzione del potere d’acquisto dei dipendenti pubblici di ben due terzi.
- Nessuna stabilizzazione dei precari, mentre si incentiva il lavoro fino a 70 anni, bloccando così il ricambio generazionale.
- 1,5 miliardi di tagli al Ministero dell’Interno, con effetti su sicurezza, formazione, dotazioni e alloggi delle forze dell’ordine.
- Nessuna misura strutturale contro la povertà, mentre 100.000 giovani ogni anno emigrano per mancanza di prospettive.
- Una fallimentare spesa per i migranti in aumento sulle coste italiane del 50%.
di trasformare l’economia italiana in un’economia di guerra. Una scelta che prepara solo nuove
tragedie, mentre siamo in piena emergenze sociale. Eppure, è proprio in questa direzione che ci si
sta muovendo. La premier Giorgia Meloni, che aveva chiesto voti promettendo di difendere
sovranità, valori e interessi nazionali, oggi invece, mostra un’obbedienza totale ai diktat di Trump e
Ursula von der Leyen, quest’ultima considerata da molti il simbolo dell’alleanza tra politica europea
e lobby delle armi. Non ha speso una parola di dissenso contro i massacri israeliani a Gaza o contro
le azioni statunitensi in Iran, pur di non disturbare il mercato dei fabbricanti di morte, compreso quello dall’Italia verso Israele.
Conclusione.
Il quadro che si delinea è quello di un Paese che sottrae risorse vitali alla collettività per alimentare
un’industria bellica sempre più potente. La scelta del governo Meloni di portare la spesa militare al
5% del PIL rappresenta una deriva pericolosa, antidemocratica e anticostituzionale, che impoverisce
la società e allontana ogni prospettiva di pace. La vera sicurezza nasce dal benessere, dall’istruzione, dalla salute e dalla dignità sociale. Non dai missili.
Giovanni Caianiello
25 giuugno 2025
D'accordissimo.!!!
RispondiEliminaE quindi, usciamo dalla NATO, ci dichiariamo neutrali e smantelliamo il nostro inutile esercito?
RispondiEliminaChe fa fare stare all'opposizione e non contare un caxxo, peccato che poi quando sono al governo fanno tutto ciò che i padroni gli dicono di fare, per fortuna sono al 5% in discesa così se ne vanno vaffanculo pure loro cinque poltrone.
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