martedì 24 giugno 2025

QUANDO LA POLITICA TRADISCE LA COSTITUZIONE, PAESE E CITTADINI

di Giovanni Caianiello - In un momento storico segnato da un’escalation globale, l’Italia non viene solo esposta per la sua posizione geografica e le sue infrastrutture, ma è stata resa volontariamente un bersaglio attraverso scelte politiche e militari sempre più sbilanciate, allontanandosi costantemente dal suo naturale e storico ruolo di mediatore terzo e credibile.
Negli ultimi anni, e con particolare intensità sotto l’attuale governo, l’Italia ha abbandonato ogni prudenza diplomatica, schierandosi senza riserve con le strategie più aggressive di Washington nel mondo e poi, di Tel Aviv nel massacro dei palestinesi a Gaza, anche quando ciò ha significato appoggiare provocazioni militari, escalation, attacchi preventivi a paesi sovrani con vere e proprie violazioni del diritto internazionale.
Tutto questo in palese violazione dell’art. 11 della Costituzione, che recita:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.”

Un principio già abusato in passato e oggi calpestato con una leggerezza sconcertante, come se la Carta fondamentale della Repubblica fosse un semplice consiglio morale e non chiaro e forte vincolo giuridico indiscutibile, che ha motivato alcuni giuristi, ad inviare una diffida al governo Meloni. Una denuncia contro Meloni, il ministro degli Esteri Tajani e quello della Difesa Crosetto per complicità nel genocidio e negli altri crimini israeliano per il sostegno al Memorandum d’Intesa in materia di cooperazione militare e della difesa tra Italia e Israele, perchè in evidente contrarietà coi principi della Costituzione e le norme internazionali.

Ma la domanda che più inquieta è: con quale diritto e legittimazione democratica tutto ciò viene fatto?
Può un presidente del Consiglio, eletto con appena 7.301.303 voti, e sostenuto da una coalizione che ha raccolto in tutto solo 12.305.014 voti su un corpo elettorale di oltre 50 milioni di cittadini, pretendere di parlare e agire materialmente e moralmente a nome dell’intera nazione?

Può trascinare il Paese verso il rischio concreto di un conflitto globale per la sua smania di protagonismo internazionale, nel quale comunque, nonostante i suoi sforzi di apparire ad ogni costo, è nei fatti rilegata ad una mera figura di secondo piano?

Mentre il mondo rischia di precipitare verso l’inferno, questo governo dovrebbe spiegare perché ha ridotto la politica estera italiana a un’eco degli interessi americani prima ed ora degli israeliani?
Perché programma l’aumento della spesa militare fino al 5% (ben 100 miliardi di euro da raschiare da un barile vuoto, con buona pace della sanita, del lavoro e del sociale) e valuta richiami in servizio dei militari, avendo esposto il paese a possibili ritorsioni, è oggi costretta ad individuare siti sensibili come potenziali bersagli di terroristi?

Alla luce dei fatti di oggi, non può non tornare alla mente una dichiarazione inquietante fatta a margine del Consiglio Europeo pochi mesi addietro:
“Bisogna educare i cittadini all’idea della guerra.”
Questo scenario era già stato largamente previsto! L’élite politica aveva già messo in conto dei conflitti in Siria, Gaza, Libano, Yemen, Iraq, Cisgiordania e infine l’Iran?
La presidente del Consiglio, che a quella riunione era presente, dunque, già sapeva in quale direzione si stava portando il paese e cinicamente ha insistito e condotto il paese verso il baratro?
Nel silenzio assordante dei media, più intenti a normalizzare che a “informare”, si consuma un tradimento della democrazia, della legalità costituzionale, della sovranità nazionale e del buonsenso.

Chi oggi governa, con una rappresentanza reale inferiore a un quinto del popolo, ha il dovere morale e politico di rendere conto delle sue scelte, soprattutto quando queste mettono a rischio la sicurezza nazionale e la vita delle future generazioni. Uno stato di cose, verso il quale sembra non avere interesse, così presa, da quello che appare un suo patologico ruolo di auto celebrazione.

Mentre televisioni e giornali ingolfano lo spazio pubblico con talk-show da salotto, pseudo esperti tuttologi, alcuni anche prezzolati, opinionisti da social e analisti improvvisati, nessuno discute apertamente del vero rischio in cui versa l’Italia: diventare un bersaglio strategico prioritario in caso di guerra totale, non solo per via della NATO, ma soprattutto per le sue basi, i suoi assetti militari sul territorio e la totale subordinazione alle strategie statunitensi.

L’Italia, come sappiamo, ospita alcune delle più importanti installazioni Usa strategiche nel teatro euro-mediterraneo tra queste:

Le basi NATO di Aviano e Ghedi, con testate nucleari statunitensi B61 già presenti.
La base di Sigonella, principale hub aeronavale USA nel Mediterraneo.
Il MUOS di Niscemi in Sicilia, uno dei quattro terminali mondiali per il controllo militare satellitare USA. (gli altri tre si trovano nelle Hawaii, in Australia e Vrginia).
Il nodo dei cavi sottomarini a sud della Sicilia, snodo globale delle comunicazioni digitali tra Europa, Asia e Medio Oriente.
Il Comando NATO di Napoli (JFC Naples), responsabile operativo per Europa e Africa.

Tutti questi siti già sorvegliati dai satelliti e schedati nei piani bellici delle grandi potenze potenzialmente nemiche sarebbero tra i primi obiettivi da colpire in caso di conflitto allargato.
A essi si aggiungono: porti, aeroporti, poli industriali a doppio uso, raffinerie, snodi ferroviari e centrali energetiche.
Nel frattempo Trump annuncia, una tregua unilaterale, che sia Israele che l’Iran hanno già violato e che sicuramente continueranno a bombardarsi.
Ma ciò che dovrebbe preoccupare l’occidente, l’Europa e il nostro paese è indubbiamente la minaccia dell’“ultima ratio”: nucleare.
Non è da escludere l’impiego di armi nucleari tattiche o strategiche.
Contrariamente alla narrazione rassicurante dei media, oggi le testate nucleari non sono solo bombe da megatoni: ne esistono di più piccole, più “usabili”, più “chirurgiche” e dunque, più realisticamente impiegabili.

Ma anche una singola testata da 250 kt, se esplodesse su un centro urbano come Roma o Napoli, causerebbe centinaia di migliaia di morti immediate, con danni collaterali catastrofici.

In caso di guerra totale, le grandi città italiane sarebbero colpite da decine di testate, da 100 kt a 1,5 Mt:

Onde d’urto distruttive in un raggio di decine di chilometri.
Radiazioni letali anche a 30–50 km dal punto d’impatto.
Tempeste di fuoco innescate da centinaia di incendi simultanei.
Contaminazione radioattiva per decenni.
Crollo dell’agricoltura per via dell’inverno nucleare: calo drastico delle temperature, assenza di sole, carestie globali.
Sistema sanitario ed energetico collassato.
Morte, sofferenza e fame per milioni di persone, anche lontano dalle aree direttamente colpite.

Chi sopravviverà, lo farà in rifugi improvvisati, cantine o grotte, ma senza scorte di acqua, cibo, medicinali o filtri anti-radiazioni per almeno sei mesi, anche la sopravvivenza sarà illusoria.

Eppure, non se ne parla. Non esiste un piano di protezione civile aggiornato.
Non viene fornita informazione pubblica alla popolazione.
Non esiste dibattito sul significato di vivere in uno Stato che ospita armi nucleari. Il mondo si prepara alla guerra, ma l’Italia finge la pace.
Finge di non vedere, di non sapere, di non voler decidere.
E nel frattempo, la classe politica espone milioni di cittadini a un destino che non hanno scelto e che non viene nemmeno spiegato.

Giovanni Caianello
24 giugno 2025

2 commenti:

  1. Stanno stracciando la costituzione, in tutto questo dov'è il Presidente della Repubblica Italiana?

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  2. Stiamo vivendo un periodo di profonda involuzione socio-politica, forse perché distratti dai messaggi provenienti da una società sempre più povera di valori autentici o forse perché attanagliati da una profonda, ormai endemica, ignoranza funzionale. Rimane il fatto che non esercitiamo più il ruolo di cittadini liberi e ciò a tutto vantaggio di lobbisti cinici e senza scrupoli. Speriamo non non perdere ciò che i nostri padri ci hanno donato a costo della vita, speriamo di poter un giorno di poter raccontare le nostre esperienze a chi verrà dopo di noi.

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