di Giovanni Caianiello - Lo avevo scritto tempo fa che il caso Almasri sarebbe stato una Caporetto morale, una pagina nera d’indegnità nazionale e purtroppo avevo ragione.
Non un errore, ma una scelta consapevole, partorita dal solito miscuglio di cinismo, servilismo e codardia che spesso accompagna un modo di fare "all'italiana".
Senza se e senza ma, l’Italia ha deciso di disfarsi di un criminale internazionale accusato di torture, stupri e omicidi, come si fa con un sacco d’immondizia dal balcone invece di consegnarlo al netturbino. Ha infatti accompagnato alla porta, con tanto di scorta e aereo di Stato, un boia travestito da generale e salutato con riguardo. È la misura della nostra decadenza.
Poi, come da copione, è iniziato il teatrino delle giustificazioni: “ritorsioni”, “situazione instabile”, “necessità diplomatiche”. Un rosario di scuse patetiche, buone per coprire un atto di viltà in piena regola. Ma quale ritorsione, per favore!
La Libia è un paese piombato in una guerra civile dal 2014, divisa tra Tripoli e Tobruch. E Almasri non rappresenta né l’una né l’altra: era semplicemente l’ex capo della polizia di Tripoli. E alla fine chi lo ha poi arrestato? Proprio il governo di Tripoli, quello riconosciuto dalla comunità internazionale. In altre parole, la Libia, un Paese devastato dal conflitto, ha fatto ciò che l’Italia non ha avuto il coraggio di fare. Siamo arrivati al punto di dover prendere lezioni di legalità da una nazione in guerra. Una vergogna di proporzioni storiche, degna dei manuali di servilismo politico.
E oggi, mentre il mondo ci guarda attonito, noi ci arrampichiamo sugli specchi, raccontandoci favole di realpolitik da bar dello sport. Intanto, il nome dell’Italia affonda ancora una volta nel fango, non quello altrui, ma quello che ci siamo gettati addosso da soli, con la precisione chirurgica di una pala. Questa volta, però, non credo basterà la consueta amnesia nazionale a cancellare l’onta: l’Italia si è macchiata di una disobbedienza vile a un mandato della Corte dell’Aia, calpestando il diritto internazionale e riducendo a zero la propria credibilità.
Ha tradito la giustizia per convenienza politica, trasformandosi in complice di un mostro. Un Paese che predica dignità, ma che si inginocchia davanti all’infamia. Dimettersi per questo governo, sarebbe almeno un briciolo di decenza. Non restituirebbe l’onore perduto, ma sarebbe il minimo gesto di rispetto verso una nazione gettata nel discredito. Perché nessuna “ragion di Stato” può giustificare l’aver offerto un salvacondotto e persino un aereo della nostra Aeronautica Militare a uno stupratore di bambini costretti a subire le sue porche indicibili violenze sessuali, torturatore e assassino di detenuti con le sue stesse mani.
Un orrore che non è solo politico: è un insulto alla giustizia, alla dignità umana, alla innocenza delle povere piccole vittime sessualmente da lui violentate e in memoria dei morti per sua mano. Oggi il mondo intero parla di “vergogna italiana” e purtroppo non ha torto. Abbiamo costruito da soli il monumento alla nostra infamia: una Repubblica inginocchiata, che confonde la prudenza con la viltà, la diplomazia con il disonore.
E ora annega nella melma che essa stessa ha versato.
Questa è la Caporetto dell’onore italiano, la resa morale di uno Stato che ha scelto il silenzio al posto della giustizia, l’omertà al posto della dignità.
E il fango, che quando lo si sceglie, non si asciuga mai.
Giovanni Caianiello
06 novembre 2025



Ho cercato l'onore Italiano in questo governo ma non l'ho trovato!
RispondiEliminaQuesto "caso" rappresenta l'emblema di questo governo. Che è stato capace di rimangiarsi tutte le promesse elettorali, di sorreggere le classi sociali più abbienti, di attaccare la magistratura fonte di tutti mali, di stare al seguito degli Usa di Trump e impegnarsi a portare il bilancio militare al 5%, una follia.
RispondiEliminaMa fin quando i cittadini saranno con il cervello obnubilato dalla propaganda tutto continuerà così e ancora peggio.