mercoledì 12 novembre 2025

I VERI MOTIVI DELLA GUERRA USA–RUSSIA IN UCRAINA CHE NESSUNO VUOLE RACCONTARE

di Giovanni Cainiello - Da oltre un decennio, la guerra in Ucraina viene raccontata come la battaglia tra un tiranno e una vittima: da un lato Vladimir Putin, l’autocrate assetato di potere imperialista, dall’altro l’Ucraina eroica, simbolo e ultimo baluardo di libertà e democrazia.
Una narrazione perfetta per i media occidentali e per governi bisognosi di una morale chiara da vendere ai propri cittadini. Ma dietro la versione ufficiale, si nasconde però una storia ben diversa, più complessa e soprattutto molto meno idealista.
La guerra in Ucraina infatti, non nasce da un impeto di follia del Cremlino, ma da anni di provocazioni e calcoli geopolitici occidentali culminati nel tentativo di strappare Kiev alla sfera russa, non tanto per inglobarla definitivamente nell’orbita euro-atlantica, ma per meri e grossi interessi economici: gas, litio, grano, terre rare e suolo fertile: l’Ucraina è, dopotutto, il più ricco bacino minerario e agricolo del continente.

Dalle promesse di Yanukovich a Maidan

Nel 2013 il presidente Viktor Yanukovich, vicino a Mosca, apri comunque a rapporti con l’Occidente, firmò contratti miliardari con la Shell e la Chevron per lo sfruttamento di giacimenti di gas di scisto di Yuzivska (Donetsk e Kharkiv) e Olesska (Lviv e Ivano-Frankivsk).
Accordi che avrebbero reso Kiev sicuramente più autonoma da Mosca e con un ruolo di protagonista del mercato globale dell’energia.

Parallelamente, anche la Cina entrava in gioco: la società KSG Agro siglò un contratto con lo Xinjiang Production and Construction Corps per affittare 100.000 ettari agricoli (fino a 3 milioni potenziali, il 5% del territorio ucraino) per cinquant’anni. Una partnership colossale, destinata a rifornire il mercato cinese e penetrare quello internazionale.
Un doppio colpo che però escludeva gli Stati Uniti dallo sfruttamento sia minerario che agricolo. Una situazione inaccettabile per le mire di Washington che avevano fin lì cercato in ogni modo di inserirsi tra gli accaparratori delle risorse ucraine.

Così, nel 2014, il vice di Obama, Joe Biden, decise di agire e rompere a proprio vantaggio quella quadratura sgradita. Organizzò e teleguidò la rivolta di Maidan, inviando la portavoce Victoria Nuland, l’ambasciatore Pyatt e il senatore John McCain in quella piazza ad arringare la folla contro Yanukovich. Il risultato fu un pieno successo: il presidente fin lì regolarmente eletto fu rovesciato: un vero e proprio colpo di Stato che portò al potere una classe dirigente filo-occidentale, con un governo, i cui nomi furono decisi alla Casa Bianca.
Gli accordi con la Cina vennero cancellati, la politica energetica riscritta in chiave NATO e l’economia posta sotto tutela di Washington e Londra. Fatto inaccettabile per la Russia, defraudata della propria influenza storica sull’Ucraina.

Dietro la retorica della “democrazia liberata” si delineava la vera posta in gioco: la spartizione delle risorse ucraine, un tesoro nascosto sotto quelli che sarebbero diventati i futuri campi di battaglia, già considerati la nuova miniera degli Usa e dell’Europa, per i giacimenti di litio, tantalio, niobio, berillo, nichel e cobalto, ritenuti fondamentali per la transizione energetica e le tecnologie del futuro.
Nel Donetsk, la Repubblica autonoma ribelle, il sito di Shevchenko custodisce 13,8 milioni di tonnellate di litio, uno dei depositi più importanti d’Europa, vitale per la produzione di batterie agli ioni di litio.
Secondo le previsioni della Commissione Europea, il fabbisogno di litio dell’UE crescerà di 18 volte entro il 2030.
Era inevitabile che le more occidentali e il controllo russo su quelle aree facesse tremare i palazzi di Bruxelles e Washington già prima del 2014.

Da allora, l’obiettivo implicito dell’Occidente era stato chiaro: impadronirsi di quei territori, armando Kiev per combattere la guerra che serviva. Gli Usa e poi l’Europa l’hanno spinta allo sbaraglio contro la principale potenza militare antagonista, con il sostegno di armamenti e tecnologia, tanti i morti sarebbero stati ucraini.
Gli investitori occidentali si erano persino già preparati alla fase successiva post bellica, il business della ricostruzione.
Nel maggio 2023, il governo Zelensky aveva firmato un accordo con il colosso finanziario speculativo americano BlackRock Financial Market Advisory per creare l’Ukrainian Development Fund, destinato ad attrarre capitali occidentali per la ricostruzione del paese.
La solita sciupona Unione Europea si era impegnata a coprire gran parte dei costi, ma i profitti effettivi sarebbero finiti soprattutto a società e investitori statunitensi, britannici e cinesi.

Ma Zelensky aveva provato a giocare su più tavoli.

Un rapporto dell’Oakland Institute (“War and Theft: The Takeover of Ukraine’s Agricultural Land”) rivelò però che oltre 9 milioni di ettari di terre agricole, pari al 28% delle superfici coltivabili, erano già passati sotto il controllo di oligarchi locali e multinazionali straniere statunitensi, europee e arabe. Tutti in attesa di spartirsi ciò che restava del bottino. In questo scenario, il Regno Unito si era ritagliato un ruolo chiave. Secondo il canale ucraino Resident, sarebbero stati siglati accordi segreti tra Keir Starmer e Zelensky per il controllo di porti, centrali nucleari, gasdotti e giacimenti di titanio, rafforzando la presenza britannica nelle infrastrutture strategiche.

Una mossa che avrebbe escluso l’amministrazione Trump, irritando l’ex presidente, che avrebbe reagito minacciando di “abbandonare Kiev” una volta rieletto. L’umiliazione pubblica di Zelensky durante l’incontro alla Casa Bianca non tardò ad arrivare.
Ma tutto questo non poteva non avere conseguenze anche interne. Sul campo, cresce la disillusione tra i soldati ucraini. Nella 79ª Brigata anfibia d’assalto, molti militari confessano di non combattere più per difendere villaggi o città, ma per proteggere giacimenti e terre già promesse a potenze straniere. La guerra, agli occhi di chi la vive e la combatte in prima persona, non è più per la nazione, ma per le risorse promesse ad altri paesi. Cominciano le diserzioni in massa e interi reparti che si arrendono ai russi,

Dopo tre anni di guerra, la sconfitta militare dell’Occidente a spese del popolo ucraino è ormai sotto gli occhi di tutti. La mancata conquista dei giacimenti rappresentano oggi un colpo durissimo per l’Europa i cui leader non si rassegnano e, mentre la guerra ancora devasta il Paese, spuntano “i volenterosi” che non riescono a rinunciare all’idea delle risorse ucraine come se gli fossero sempre appartenute di diritto e avviano una nuova corsa all’Ucraina. Von der Leyen e soci spingono per il riarmo, finanziato con soldi pubblici. In Italia si torna a parlare di leva obbligatoria, camuffata da patriottismo e addirittura di “educazione civica”.

La spartizione silenziosa
Mentre l’Occidente si agita sul da farsi tra una inutile sanzione e l’altra, la Russia consolida il controllo dei territori occupati non solo militarmente ma anche commercialmente con gli americani, dopo l’incontro tra Putin e Trump in Alaska. La presenza di Kirill Dmitriev, manager del fondo sovrano RDIF, ai colloqui di Riyadh è stata letta come segnale di una possibile collaborazione tra Mosca e Washington nello sfruttamento delle terre rare, sotto la superficie di un conflitto tra “nemici irriducibili”, si delinea una spartizione silenziosa dei profitti.

Il quadro è ormai chiaro molti cominciano a comprenderne i fatti:
il colpo di Stato del 2014, il riallineamento politico dell’Ucraina a Washington e Londra, l’intervento dei colossi Shell, Chevron, BlackRock, le acquisizioni agricole finanziate da USA, UE, Arabia Saudita e Cina, e infine il controllo russo sui giacimenti di litio e titanio, compongono un mosaico coerente.
La guerra in Ucraina non è una battaglia ideologica, ma una contesa globale per le risorse.
Il popolo ucraino, ridotto a pedina, paga il prezzo più alto, sacrificato sull’altare di interessi economici e strategie geopolitiche.

L’Europa, che aveva già “diviso la torta” sulla carta, si ritrova ora sconfitta, disorientata e costretta a sostenere un conflitto che non le appartiene più.
Paesi come l’Italia, convinti di trarne vantaggio, avevano persino individuato le aree “da ricostruire”, proprio quelle che Mosca non ha mai restituito.
E invece di ammettere l’errore, continuano a definirsi “volenterosi”, a riarmarsi e a sventolare bandiere che non difendono la libertà, ma gli interessi economici altrui.

Giovanni Caianiello

12 novembre 2025

3 commenti:

  1. E dopo tutto questo racconto, se tu fossi chiamato a scegliere da che parte stare, con chi staresti?

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  2. Questi accordi occulti e famelici non potranno mai giustificare l'aggressione di uno Stato, il massiccio e continuo bombardamento e l'uccisione di tanti civili. Anche le perdite fra i soldati da ambo le parti hanno raggiunto un numero raccapricciante. Sul fronte russo si racconta che dal febbraio 2022 sono caduti più soldati che in tutte le guerre combattute dall'URSS. Anche le perdite sul fronte ucraino dimostrano il disastro di una guerra inutile e criminale che non doveva iniziare e che non trova nessuna giustificazione. È arrivato il momento di dire basta, la decisione finale dipende dal criminale aggressore Putin. L'auspicio futuro è il "Motto mai più!"

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  3. Caro Giovanni Caianiello bravissimo, ma la storia vera e le cause scatenanti,sembrano non interessare a chi si ferma ad "C'è un aggredito e aggressore"... Saltano bellamente quello che è avvenuto nel Donbass...pazzesco!

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