
In questo quadro desolante, la vicenda pugliese emerge come un esempio lampante di quanto il sistema sia marcio. Il nome di Antonio Decaro, appena eletto al Parlamento europeo con una valanga di voti, risuona come una campana a morto per la credibilità delle istituzioni. Con un gesto di disprezzo assoluto per i cittadini che lo hanno scelto per eleggerlo in Europa, Decaro abbandona il suo seggio appena conquistato per lanciarsi nella corsa regionale. Un salto della quaglia che non ha nulla a che vedere con la passione per il territorio, ma tutto con il calcolo politico. Fa il prezioso, detta le sue condizioni, e si erge a "kingmaker" che decide le candidature nel PD e persino in AVS, ponendo veti su figure storiche come Nichi Vendola ed Emiliano. “O loro o io” . Fino a un minuto prima di salire sul palco si fa pregare minacciando il ritiro ma poi pensa al vantaggio che gli arriverebbe dalla sua elezione, soprattutto per realizzare il suo sogno di conquistare la segreteria nazionale, a cui pensa da tempo. Il braccio di ferro che ne è seguito si è concluso con una soluzione che sa di beffa. Il compromesso raggiunto con Vendola è una vergogna che offende l’intelligenza degli elettori e ridicolizza il ruolo delle istituzioni. Un accordo per cui Vendola siederà in Consiglio Regionale per un anno, per poi avere garantito un posto in Parlamento. Quale impegno potrà mettere Vendola in consiglio regionale, se sa di essere precario. Emiliano si ritira, passando per politico responsabile che non fa saltare l’accordo, ma in realtà anche per lui è garantito un seggio a Roma. Il Consiglio Regionale, il luogo in cui si dovrebbe dibattere e decidere per il futuro della Puglia, è ridotto a una sorta di anticamera, un parcheggio temporaneo, un taxi da cui salire e scendere a piacimento. La politica come ammortizzatore sociale per disoccupati di lusso, come una cassa integrazione per chi, a dispetto dei fallimenti passati, non vuole rinunciare a un vitalizio. Non è solo in Puglia che la politica si muove con la logica della spartizione e dell'interesse personale.
La Campania offre un altro capitolo dello stesso triste romanzo. Qui il protagonista è l’eterno Vincenzo De Luca, il governatore sceriffo che non potendosi più candidare, ha barattato la sua partecipazione in un vero e proprio ultimatum al Partito Democratico. Con l'arroganza di chi si sente insostituibile, De Luca ha messo sul piatto un pacchetto di richieste che umiliano ogni parvenza di democrazia interna. La sua intenzione è chiara e spudorata: vuole non solo correre con due liste a suo nome, riducendo il PD a un satellite della sua leadership personale, ma pretende e ottiene anche di consegnare la guida del partito campano a suo figlio Piero senza meriti. Questa è la parte più squallida del suo ricatto politico. Significa annullare il confronto, soffocare ogni possibile dissenso. La famiglia De Luca si appropria del Partito Democratico come se fosse un'azienda di famiglia, una proprietà da tramandare di padre in figlio. Un'operazione di successione dinastica che non ha nulla a che fare con la meritocrazia, ma con il consolidamento del potere di una sola famiglia. La reazione del PD o, meglio, la sua mancanza di reazione, è agghiacciante. Di fronte a un simile ricatto, la direzione nazionale, pur con qualche mal di pancia interno, si è piegata per paura di perdere la Campania. E che dire delle Marche dove un altro europarlamentare in carica, Ricci del PD, fa lo stesso identico gioco, tradendo il mandato ricevuto dagli elettori per inseguire una poltrona più vicina, più gestibile, che dà maggiore potere e visibilità. Tre esempi che mostrano un disegno preciso, una visione della politica non come servizio al cittadino, ma come una carriera personale, un susseguirsi di tappe obbligate per raggiungere l'apice del potere e dei privilegi. La vicenda campana, come quella pugliese e marchigiana, dimostrano quanto il sistema partitico sia malato. I partiti non sono più il luogo del confronto e della formazione di una classe dirigente, ma diventano il bacino in cui si pescano i candidati da riciclare e poi finiscono per diventare autocrati. Si è persa la dimensione comunitaria, l'idea di una politica condivisa dal popolo. La democrazia, in questo scenario, è ridotta a una formalità vuota, un rito svuotato di ogni significato. Le elezioni diventano una mera ratifica di accordi presi a tavolino, lontano dagli occhi dei cittadini. E il messaggio che passa è devastante: non conta la qualità del candidato, non contano le idee, ma solo la capacità di stringere accordi, di fare "cartello" per ottenere il potere in senso machiavellico. E il M5S che fa. Si adegua anche lui. Lancia Tridico in Calabria, e chi se ne frega se lo avevano votato per restare in Europa, prepara la candidatura di Antoci, naturalmente anche lui europarlamentare, a presidente della regione siciliana o, in subordine quella di Barbara Floridia che lascerebbe il Senato facendo marameo agli elettori.
Maurizio Alesi
06 settembre 2025
Maurizio Alesi
06 settembre 2025
Spero che questo articolo possa offrire un momento di riflessione anche per coloro che pur votando a sinistra, sappiano riconoscere che anche in quel campo c'è ancora molto da fare.
RispondiEliminaLoro lo fanno apposta per far perdere la sinistra ( 2 persone inutili) 😬😬😬
RispondiEliminaMa il popolo ha capito che sia di destra e di sinistra si spartiscono le poltrone, chi deve andare e chi rimanere e a noi ci pigliano per il culo. È ora di mandarli tutti a casa sono vecchi, il palazzo puzza ci vuole genta nuova.
RispondiEliminaLa mia avversione nei confronti del PD è tale che tutti gli altri partiti si eclissano davanti a questo in particolare.
RispondiEliminaSi pensi a un carnivoro dichiarato (la destra). Poi a un vegetariano dichiarato che di nascosto mangia carne.
Chi vi farebbe più schifo?
questi sarebbero i capaci gli esperti quelli che risolvono problemi?
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