venerdì 4 giugno 2021

GAZA, UN ALTRO EPISODIO DELLA GUERRA DEI CENT'ANNI (quarta parte)

di Torquato Cardilli - Dal 1956 al 1967 tra Egitto ed Israele fu mantenuta un'alta tensione con un’accesa propaganda verbale e qualche incidente di frontiera, ma senza alcun effetto né territoriale, né politico-diplomatico.
Egitto, Giordania e Siria, sempre più frustrati ed insofferenti per la continuazione dell’occupazione di terre arabe da parte di Israele, si legarono in un patto militare con l'intenzione di riprendersi con le armi il territorio che era stato sottratto ai palestinesi.

Mentre Giordania e Siria proclamavano la mobilitazione, l'Egitto impose il blocco navale al golfo di Aqaba con l'intenzione di strangolare l'economia marittima di Israele del porto di Eilat.

Di fronte a questi eventi il governo di Tel Aviv si convinse che il rullo dei tamburi di guerra fosse sempre più vicino e anziché attendere l'attacco arabo e fare la parte del paese aggredito, decise di cogliere di sorpresa i suoi nemici. All'alba del 6 giugno 1967 attaccò di sorpresa gli aeroporti militari di Egitto e Siria, distruggendo al suolo l’intera forza aerea araba. Quindi le fanterie arabe dislocate nel Sinai, in Cisgiordania e nelle alture del Golan siriano, prive di ogni copertura aerea, furono facile obiettivo di pesanti attacchi dall'aria e da terra.
Quando al sesto giorno di guerra gli arabi erano stati sconfitti su tutti i fronti ed avevano perduto quasi 100 mila prigionieri, il CdS dell’ONU impose il cessate il fuoco.

L’Egitto era stato privato dell’intera penisola del Sinai, la Giordania aveva perso tutta la Cisgiordania compresa metà Gerusalemme, e la Siria le alture del Golan. Israele si era territorialmente espanso su una superficie più del doppio di quella decretata dalle Nazioni nel 1947.
Le grandi potenze, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con diritto di veto, non si sono mai stancate di declamare ai quattro venti di ambire a garantire la pace nel mondo, ma ciascuna di esse ha inteso questo obiettivo alle proprie condizioni, voltando la testa dall'altra parte quando punire un paese alleato, responsabile di un sopruso internazionale sarebbe costato in termini politici, economici e sociali, di più del disonore di far finta di non vedere.
Dopo cinque mesi dalla guerra il CDS a novembre 1967 varò la famosa risoluzione 242 che vietava l’ingrandimento territoriale con la forza, imponeva di passare dall’armistizio a
veri negoziati di pace ed il ritiro di Israele dai territori occupati entro i confini provvisori del 1956.

Israele forte del rifiuto arabo di ogni negoziato, pur professando l’intenzione del ritiro, instaurò nei territori conquistati un regime militare di segregazione e discriminazione verso gli arabi rimasti e con un atto unilaterale decretò l’annessione e la proclamazione di Gerusalemme come sua eterna capitale senza tener conto della dichiarazione dell’ONU che considerava questo atto come illegale e senza valore giuridico.
Subito dopo il 1967 Israele iniziò un vasto programma di occupazione di terre palestinesi, cominciò a costruire illegalmente insediamenti di coloni israeliani in terra palestinese. Questa politica, un vero affronto alla giustizia e al diritto internazionale, venne portata avanti con la demolizione di interi villaggi, la confisca delle proprietà e l’espulsione di circa 200 mila palestinesi, di cui molti erano già rifugiati dopo la guerra del 1948.

Nel 1968 fu istituito un Comitato Speciale delle Nazioni Unite con il compito di indagare su tali violazioni del diritto internazionale e in materia di diritti umani, a danno dei palestinesi, ma Israele si oppose a partecipare alle riunioni del Comitato e addirittura a consentirne l’ingresso.

Ogni anno, a partire dal 1971, l'Assemblea Generale dell'ONU, constatato che ai rifugiati palestinesi non venivano riconosciuti gli inalienabili diritti all'autodeterminazione, alla sovranità e alla possibilità di tornare in patria, ha approvato 48 risoluzioni di condanna di Israele che sono rimaste lettera morta.
Nell’ottobre 1973 il nuovo presidente egiziano Sadat, succeduto a Nasser, espulse dal paese i consiglieri militari sovietici come mossa di rassicurazione verso Israele ed invece nel giorno del Kippur attaccò le difese ebraiche superando il canale di Suez e dilagando nel Sinai.
Ancora una volta gli Stati Uniti accorsero in aiuto di Israele fermando l'avanzata egiziana.

Seguirono le varie tappe dei negoziati a Camp David a Stoccolma a Lisbona, ma l’assassinio dei due fautori della pace il presidente Sadat e il primo ministro israeliano Rabin praticamente bloccarono ogni reale progresso, anche se gli arabi si erano rassegnati a considerare la rivendicazione di uno stato palestinese non più nei confini del 1947 o del 1956, ma in quelli più ridotti del cessate il fuoco del 1967. Pur essendo stati allacciati rapporti diplomatici e restituito all’Egitto l’intero Sinai oltre alla striscia di Gaza, Israele non fece alcun gesto significativo verso la creazione di uno stato arabo in Palestina che continua ad essere occupata.
Smentendo nei fatti ogni pacifismo di maniera Israele ha sempre reagito ai velleitari ed inutili lanci di razzi con estrema durezza seppellendo nei crateri delle bombe tanti innocenti e tante speranze.

Così a tre quarti di secolo dalla conclusione del secondo conflitto mondiale assistiamo ancora al ripetersi di un altro episodio della guerra dei cent’anni in cui un popolo tradito da amici e nemici viene sottoposto a occupazione militare a discriminazione ed a vessazioni di ogni tipo.

La tragedia che ha colpito Gaza è stata il più recente colpo, ma non l'ultimo, inferto ad una nazione profondamente provata che va avanti ormai dal 1947.
Le conseguenze sanitarie, sociali, economiche e geopolitiche, non faranno altro che aggravare le condizioni di inimicizia tra Israele e la fazione araba di Hamas. A pagarne il conto saranno, come sempre, le fasce più deboli della popolazione, gli anziani, i malati, i bambini che, se riusciranno a diventare adulti, conserveranno negli occhi e nella psiche gli orrori vissuti, l’assenza di acqua, corrente, cibo e il costante urlo delle sirene e la deflagrazione dei bombardamenti.

È questa l’ora di imparare la lezione di Gaza. Il 27 maggio 2021 il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC) con una votazione di 24 a 9 e 14 astensioni (nessuno dei paesi dell’Unione europea ha votato a favore) ha stabilito di mettere sotto indagine Israele per i bombardamenti dei civili a Gaza sproporzionati rispetto allo stillicidio di razzi di Hamas e sulle violazioni dei diritti umani commesse contro i palestinesi nei territori occupati e in Israele stesso dal mese di aprile.

Chi può scommettere che la risoluzione dell'ONU sarà rispettata?
(Fine) (Prima parte, seconda e terza parte)

Torquato Cardilli
04 Giugno 2021

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