mercoledì 22 ottobre 2025

IL BUCO NERO DEI CONTI PUBBLICI E L’AGONIA DELLA DIGNITÀ NAZIONALE

di Giovanni Caianiello - Che i buchi di bilancio siano una costante nella storia dei governi italiani è ormai una tradizione incrollabile per questo Paese, è risaputo. Ma quello che sta creando l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni rischia di diventare uno dei più profondi e devastanti della Repubblica. Non si tratta solo di conti in rosso: è un cratere politico, economico e sociale destinato a lasciare conseguenze irreversibili.

Fino ad oggi, Meloni e soci stanno sopravvivendo solo grazie a tagli indiscriminati e, soprattutto, ai fondi del PNRR; altrimenti saremmo già in piena recessione, una condizione che si presenterà inevitabilmente quando, a fine agosto 2026, verranno chiusi i rubinetti. Poi avremo solo debiti insolubili. E questo a causa delle incomprensibili scelte della Meloni, allineatasi alla Casa Bianca, prima ai piedi di Biden e ora di Trump con l’unico scopo di essere incensata come “brava, bravissima”, in una cieca ubbidienza, a spese di quel patriottismo che vantava urbi et orbi prima delle elezioni del 2022. Manca solo la cittadinanza onoraria e la Victoria Cross per il bene fatto all’economia americana, non ultimi i miliardi in armi che indebitano gli italiani per almeno quarant’anni, e aiutano le lobby di Trump.

Ha seguito pedissequamente l'Agenda di Mario Draghi, indicato da Cossiga come il “dissipatore” che aveva già svenduto l’Italia ai suoi comparuzzi e comitati d’affari, soprattutto americani, tanto da essere poi premiato alla Goldman Sachs e fare carriera. Meloni, del resto, lo aveva annunciato: “L'Agenda Draghi sarà la mia Agenda.” Uno sfascio scientemente costruito, in continuità con chi l’ha preceduta: un’agenda brandita come un vessillo, tradendo ogni singola promessa fatta agli italiani. Nessuna visione autonoma, nessuna dignità nazionale: solo obbedienza cieca in cambio di qualche pacchetta internazionale sulla spalla.

Nel nome di tale sudditanza, ha sposato senza esitazione una guerra americana in Ucraina che non ci riguardava nemmeno alla lontana. L’ha sostenuta non per convinzione, ma per calcolo d’immagine. Ha rinunciato al gas russo, economico e di ottima qualità, per sostituirlo con quello americano, liquido, ben più costoso e di qualità inferiore. Il risultato? Le nostre imprese hanno subito danni incalcolabili, oltre a perdere mercati fondamentali. Vendere a chi, poi? A quelli che ci impongono dazi capestro. Una follia, in nome del servilismo assoluto, a danno del Paese.

Senza contare gli stipendi e le pensioni che Meloni ha deciso di pagare agli ucraini, sottraendoli ai contratti di lavoro dei cittadini italiani, per i quali vale il “non ci sono soldi”: non per la sanità pubblica, non per la scuola, non per gli anziani, per le mamme, per gli asili nido, ecc. Ma per sostenere governi e guerre altrui, trasformando l’interesse nazionale in una moneta di scambio nei salotti dell’atlantismo.
C’è da esserne orgogliosi!

All’interno dei confini italiani, viene smantellato ogni residuo di legalità e senso dello Stato, con un’impressionante sequela di leggi e decreti utili a garantire l’impunità a una classe politica. Leggi e provvedimenti che appaiono perlopiù come salva-delinquenti, rivelando una contiguità preoccupante con malaffare, lobby e criminalità organizzata. Certo, il dubbio viene, se si considera quanti inquisiti, condannati, indagati e persino arrestati si trovino tra le file di Fratelli d’Italia e dei loro alleati: partiti infarciti di figure invischiate in affari torbidi, protette da un sistema di potere che non si fa più nemmeno il problema di nascondersi.

Emblematica è la cancellazione dell’abuso d’ufficio, un reato cardine da cui spesso emergono i filoni più gravi contro la pubblica amministrazione. È da lì che partono molte inchieste per corruzione, turbativa d’asta, concussione. Eliminare questa fattispecie equivale a dire ai funzionari disonesti: “Avanti, accomodatevi. L’impunità è servita.” Un segnale devastante, che disarma i magistrati e incoraggia la malapolitica. Non meno sconcertante è la modifica delle norme sulle intercettazioni, che introduce limiti temporali del tutto illogici: si stabilisce che, passati trenta giorni, le intercettazioni debbano cessare. Ma a chi è venuto in mente che un criminale, sapendo ciò, non possa semplicemente starsene in silenzio per un mese e poi riprendere tranquillamente a gestire i propri affari il giorno dopo, certo di non essere più ascoltato? Questo somiglia più a un esplicito “liberi tutti” a delinquere che a una strategia di giustizia.

E se tutto ciò non bastasse, arriva anche l’obbligo di avvisare chi sta per essere arrestato con dieci giorni di anticipo. Sì, dieci giorni per “prepararsi” all’arresto: tempo sufficiente per distruggere prove, contattare complici, individuare e magari intimidire testimoni, o peggio ancora, chi ha denunciato. Una norma che mina dalle fondamenta l’efficacia dell’azione penale, e che lascia più di un sospetto: chi ha partorito simili mostruosità era solo ingenuo, o sapeva perfettamente cosa stava facendo? Verrebbe da chiedersi se chi ha concepito queste leggi fosse accecato dall’incompetenza, oppure pienamente consapevole, e quindi complice di un disegno più ampio. Per esempio, creare un vero e proprio ombrello protettivo per i tanti personaggi opachi che popolano la scena politica italiana: alcuni già impantanati in procedimenti giudiziari, altri ben inseriti nei circuiti del potere, magari con qualche legame malavitoso da “tutelare”.

Ma ciò che colpisce di più è sentire qualcuno dire che dovremmo essere orgogliosi. Di cosa, esattamente? Di un governo che tradisce i suoi stessi elettori, i quali però si tappano i cinque sensi pur di non darsi torto?

C’è solo da indignarsi. E forse, finalmente, da svegliarsi.

Giovanni Caianiello
22 ottobre 2025

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