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sabato 14 gennaio 2012

F E L I C I T À

di Salvo Geraci - Paolo Gallina, docente di meccanica applicata presso la facoltà di ingegneria dell'Università di Trieste, è l'autore di un libro intitolato “La formula matematica della felicità”. edito recentemente da Mondadori. Si tratta di un “pamphlet” da leggere con avidità,
sempre a cavallo tra elementi tecnico-scientifici e, considerazioni, frutto di un 'humor' raffinato.
Apprendiamo dunque con sollievo che la felicità non è “un trattattarrà”, come per anni Albano e Romina fraudolentemente ci avevano fatto credere; e che non è neanche necessariamente l'effetto di una posizione economica rassicurante.

E qui è la nostra rivincita [con il noi intendo la categoria di poco o nullatenenti, padroni soltanto - se ce l’hanno - del proprio lavoro].

Il concetto di felicità, infatti, “si integrerebbe” quando si verificasse il salto (più o meno piccolo) da uno stato più basso - in generale - ad uno più alto, nel senso di “condizione che ci gratifica maggiormente”.

Alt... attendete a gioire. Questa condizione di superiore benessere dura per un periodo di tempo relativamente breve; questo significherebbe che - come certi pesci devono sempre nuotare per prendere, a pelo d'acqua, boccate d'aria per respirare - anche noi, per godere di una congrua persistenza dello stato di benessere - ogni certo periodo - dovremmo cercare di garantirci il salto di stato che ci garantisse di continuare a provare la sensazione di felicità di prima.

Se è vero - paradossalmente – che i più disgraziati sarebbero avvantaggiati da questa “disposizione dell'animo o della mente”, per il principio che chi sta peggio, statisticamente, può aspettarsi più facilmente di incorrere in eventi migliori, d'altro canto, tutti (ricchi e poveri, fortunati e sfortunati, saremmo accomunati da questa necessità di “salire”!).

Questo meccanismo mi fa pensare al conosciuto effetto ‘yo-yo’, quello che fa sì che certi soggetti, indipendentemente dalla quantità di cibo assunto, ritornino sempre al medesimo peso, perché il nostro cervello ha un ‘set-point’ che impone agli organi deputati l’utilizzazione delle medesime sostanze nutritive in misura diversa per consentire al corpo di conservare riserve per eventuali tempi magri!

Insomma: sia che si tratti di cibo, sia che si tratti di felicità, il nostro perfetto e rigoroso cervello non si fa ingannare!
Strano però che, se un cervello da solo funziona alla perfezione, quando si mettono assieme centinaia di cervelli (un’aula parlamentare per esempio), questi entrano in corto circuito o piuttosto funzionano per aree (cervello destro - cervello sinistro, per esempio).
In realtà si è appena scoperto che il cervello umano ha bisogno di essere raffreddato ogni tanto per funzionare (da ciò gli sbadigli) e i nostri amici deputati invece amano restare tutti al calduccio in quelle aule tetre… per stare “vicini vicini”, e il cervello inesorabilmente si surriscalda.
Sic est.

SALVO GERACI

14 gennaio 2012

9 commenti:

  1. straordinario il tuo "modo" di raccontare l'andamento della felicità peccato che dura poco...tornando ai cervelli che vanno in cortocircuito da surriscaldamento, mi viene da chiederti: hai suggerimento per il surriscaldamento del sedere da possesso di poltrona pubblica?
    Grazie

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  2. x Salvo: ma siamo sicuri che l'aula di cui parli, piena di tante teste, sia piena di cervelli?

    x Francesco:
    la felicità dura poco per un semplice motivo ...
    ... la scopri quando è finita!

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  3. ...è verissimo, la felicità la scopri quando non c'è più. Ti accorgi di ciò che avevi ma quasi mai di ciò che invece hai e della fortuna che ti sta passando davanti senza accorgertene. Ti arrovelli per le miserie degli uomini, per le piccolissime cose che posso capitare, ti rovini le giornate le settimane e a volte la vita per il solo fatto di non capire e apprezzare il senso della vita (molto difficile a volte). Insomma la formula della felicità sarà pure quella matematica del libro di cui parla Geraci. Ma, forse, più semplicemente, è quella di accontentarsi cercando di vivere la vita per quella che è. Una difficile avventura che ha un inizio e una fine di cui noi siamo artefici, ma anche piccolissime particelle vaganti.

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  4. Di una cosa sono sicuro, la felicità non è direttamente proporzionale alla quantità di soldi che possiedi.
    una foto pubblicata recentemente su facebook ritraeva delle dive di Hollywood che piangevano e accanto un'altra foto con dei bimbi di un villaggio Africano che ridevano, sotto la prima c'era scritto "hanno tutto e piangono", sotto la seconda "Non hanno niente e ridono".
    Devo dire che è vero, si può essere felici con poco, il problema stà nel guardare, in ogni caso, il bicchiere mezzo pieno, cioè accontentandosi di quello che si ha, dando uno sguardo a chi non ha nemmeno quello.
    Naturalmente non voglio insegnare niente a nessuno, questo è il mio punto di vista.

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  5. x Salvo: al di là dei deputati, condivido il
    tuo pensiero, quando fai riferimento al principio secondo il quale, 'chi sta peggio, statisticamente, può aspettarsi più facilmente di incorrere in eventi migliori'. Questa è la tattica di chi trasforma la propria scelta di vita in condanna per altri. Altri, che per caso si sono trovati a vivere, in maniera più o meno piacevole il periodo di vita in questione e di conseguenza si trovano costretti a creare eventi continuamente piacevoli per far vivere la persona continuamente in maniera serena.

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  6. Grazie per il commento... ma, sinceramente, me ne deve essere sfuggito il senso! Ma tanto è. Salve

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    1. Non volevo creare malintesi. Ho solo fatto mio, al di là delle faccende politiche, il concetto dove affermi che paradossalmente i più disgraziati sarebbero avvantaggiati da una “disposizione dell'animo o della mente per il principio che chi sta peggio, statisticamente, può aspettarsi più facilmente di incorrere in eventi migliori.E secondo me dici bene, perchè molti si fanno forti delle debolezze caratteriali di alcuni per far pagare a questi lo scotto delle loro scelte di vita, costriggendoli in maniena graziosa a creare sempre eventi migliori per farli stare sereni.
      A presto per altri commenti. Giovanni.

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  7. I L T E M P O citando Rovelli, De Witt e Kant - Chiunque tra noi sia normalmente dotato di intelletto e sappia usarlo adeguatamente, si rende conto che il tempo in sé è un concetto astratto, e che il suo trascorrere è verificabile solo con esempi concreti. Cioè noi possiamo affermare che il tempo esiste soltanto perché vediamo – se pur con lentezza – invecchiare noi stessi, le altre persone, e il deteriorarsi degli oggetti e di ogni cosa che la natura crei sul pianeta!
    Come ben descrive Carlo Rovelli ne “Il Sole 24 Ore” di domenica 15 gennaio, il tempo in collina scorre più velocemente che in pianura. Noi non ce ne accorgiamo poiché si tratta di differenze minime (un milionesimo di secondo di differenza in un’ora), ma sufficienti per non consentire il corretto funzionamento dei satelliti delle comunicazioni che orbitano attorno alla Terra; perciò i tecnici ne tengono conto… per essi ormai è una cosa scontata.
    Per continuare rammento:
    - una scoperta fondamentale della fisica del Novecento: la natura quantistica, cioè granulare e probabilistica, della materia e della radiazione
    - e che la ricerca teorica attuale si sta concentrando sulla struttura quantistica, granulare, probabilistica, che deve avere lo spazio stesso.
    Dunque appare evidente la necessità di verifica poiché ormai è chiaro ai fisici che le cose possono essere molto diverse se trattiamo le galassie piuttosto che il microsistema della Terra…

    Ma:
    Fino a oggi, tutte le nostre equazioni descrivono lo svolgersi dei fenomeni nel tempo e – invece! – lo studioso americano De Witt è riuscito a descrivere lo spazio – nella sua struttura elementare – tramite una equazione che esclude la variabile ‘t’ (tempo). Compresa la portata del tema?! Il tempo – secondo questa linea di ragionamento non esiste! “Fino a oggi, tutte le nostre equazioni descrivono lo svolgersi dei fenomeni nel tempo”, ribadisce De Witt; e spiega ulteriormente: ‘Newton, il padre della fisica, ha compreso tutto ciò con grande chiarezza, scrivendo che l'esistenza di una variabile tempo è solo un'ipotesi, che mette ordine nelle nostre osservazioni sui movimenti degli oggetti’. Osserviamo dove si trova un oggetto quando un altro è in un certo luogo («quando le lancette del mio orologio sono sulla verticale, il Sole è a Sud).
    E ancora Rovelli:
    “Quello che De Witt ha implicitamente scoperto nello scrivere la sua equazione senza tempo è che questa procedura - descrivere il mondo dando l'evoluzione delle variabili una rispetto all'altra, invece che rispetto al tempo - diventa necessaria, nel microcosmo. Il motivo intuitivo è che la natura quantistica delle variabili le porta a fluttuare (oscillare) tutte in maniera indipendente, cosicché non possiamo più immaginarle tutte danzare al ritmo unico di una sola variabile tempo. L'ipotesi che esista un tempo al ritmo del quale danza l'universo, non è un'ipotesi corretta. A piccola scala l'universo è un insieme di variabili che danzano ciascuna con le vicine, senza nessun tempo che ordini le danze.
    Facile da capire? No. La concezione usuale del tempo è radicata nella nostra esperienza quotidiana e ingranata nella nostra struttura concettuale.
    Ma difficile non vuole dire impossibile: la difficoltà di concepire un mondo senza tempo non è diversa dalla difficoltà che hanno avuto i nostri nonni a immaginare la Terra sferica e gli abitanti degli antipodi a testa in giù: la difficoltà è accettare che la nostra esperienza del mondo, dove alto e basso sono gli stessi per tutti, e il tempo scorre uniforme, è limitata.
    Aveva ragione Kant a osservare che tempo e spazio più che essere nella natura sono forme del nostro modo di conoscerla; ma aveva probabilmente torto a concluderne che tali forme fossero immutabili: le forme stesse del nostro conoscere crescono con la conoscenza.

    Alla fine della lettura ero molto emozionato; ho voluto allora farvi partecipi di questa emozione.
    Solo un intercalare tra politica e tragedie! Sic est, SALVO GERACI

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  8. Il tempo è un rompicapo irrisolvibile che attraversa il pensiero umano come un interrogativo non risolto. Sant'Agostino nelle Sue Confessioni diceva: “Se nessuno me lo chiede, so cos'è il tempo, ma se mi si chiede di spiegarlo, non so cosa dire”. Non voglio inoltrarmi in un terreno già molto ben frequentato, nè credo sia di primaria importanza risolvere questo interrogativo. Pragmaticamente penso che dovendo ascoltare un brano musicale che altri non è se non una successione di eventi sonori, osservo che per la Nona Sinfonia di Beethoven ci vogliono circa 65 minuti di quella cosa che chiamiamo tempo e pazienza se l'uomo non ha risolto l'interrogativo di cui sopra, ma il godimento spirituale derivante dall'ascolto della Sinfonia, per quel che mi riguarda, compensa adeguatamente la mancata soluzione dell'enigma

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