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domenica 15 gennaio 2012

AMARO RISO

di Francesco Gallo Mazzeo - C’è tutta un’agitazione intorno al Museo Riso, un tramestio e un gridio (scusate, ma fa rima) tra chi grida, al morto,al morto e non si capisce se lo vuole morto per potere fare una bella figura, facendo pensare che in mano sua non sarebbe morto, ma avrebbe ottenuto grandi risultati, che nessuno conosce, ma tutti fanno finta che sì,

che loro li conoscono e anche bene e altri dicono, che no, non è morto, è vivo, anzi più vivo che mai e presto batterà un colpo, come si usa dire e poi se ne vedranno delle belle. Ma come è possibile dividersi su una questione da secchia rapita, che farebbe ridere a crepapelle Alessandro Tassoni, se non fosse antenato e morto (lui sì, morto) in padania, senza fare una disamina di quello che è o dovrebbe essere una galleria regionale d’arte moderna (che i disinformati chiamano contemporanea, come se noi fossimo nella contemporaneità e non nella modernità) e cioè, avere una grande collezione a partire dagli anni trenta del novecento, una grande biblioteca specializzata, grandi mostre in calendario, passato, presente, futuro, essere laboratorio permanente dei giovani creativi, essere luogo d’incontri di studio e formazione.
Esattamente quello che in tanti, a cui va il mio plauso, stanno chiedendo, ad una sorda amministrazione comunale, per i Cantieri della Zisa, cercando di inserirla in un concerto interdisciplinare delle attività creative, seguendo la ricca lezione che ci viene da tutto il novecento e dagli ultimi anni globalizzanti. Ma questo va bene (potrebbe, dovrebbe, andare bene) per Palermo metropoli e deve essere un dibattito permanente, in vista delle prossime elezioni comunali, ma non c’entra nulla col Museo Riso, regionale, per modo di dire, perché si comporta come una gallerietta nazionale di serie b, guardando con lenti sfocate, là dove ci vorrebbe, insieme il microscopio per guardare vicino e il cannocchiale per guardare lontano, proprio le due opzioni, che sembrano mancare del tutto, da questo scampanare a vivo e a morto, senza contare che una simile struttura dovrebbe essere polisede, non dico una per ogni capoluogo di provincia ma con adeguate forme consortili coinvolgerli tutti.
Ma come si fa a trattare Catania con tanta sufficienza, Messina, Siracusa, che sono o altrettante metropoli (e la Sicilia, in questo senso è unica nel panorama nazionale) o città di levatura internazionale e poi Piazza Armerina, Gela, Marsala, Sciacca, il distretto Modica Vittoria Scicli Comiso, senza provare ad immaginare un’originalità che tutti noi meritiamo, che la Sicilia merita: Così com’è il Museo Riso non serve a niente, se non a coinvolgere alcuni di cui non voglio discutere né titoli né crediti, lasciando fuori, ma proprio fuori, singolarmente e collettivamente, una delle realtà più creative del panorama nazionale, che di un’agile struttura simile potrebbe giovarsi e non è così: Che dire poi di comiche iniziali, che mi riguardano direttamente, coinvolto in una commissione ministeriale assessoriale, in cui dissi le stesse cose che qui sto ribadendo, senza avere mai ricevuto uno straccio d’invito alle inaugurazioni e alle manifestazioni che mi sono state raccontate. Della commissione, molto animata e litigiosa non ne ho saputo più nulla, per cui ho pensato che il mio pensiero eretico, che viaggia tra New York, Tokio, Madrid, Mosca, ma il cuore batte qua non interessasse nulla, ma successivamente mi è arrivata notizia (indiretta) che era stata sciolta e basta.
Tutto quello che sta accadendo, ha solo una cosa di positivo (ma non è una cosa da poco) ha aperto una querelle a cui non si deve sottrarre nessuno, per dare a Palermo, ma a tutta la Sicilia, una struttura barocca, senza centro, ma con tanti centri, che non può non avere, pena la sua perdita, il suo perdersi. Ma non mi si faccia ridere, dicendo che l’aveva e l’ha persa, perché non è così.

Francesco Gallo Mazzeo
15 gennaio 2012

4 commenti:

  1. L'opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper) è un'opera teatrale di Bertolt Brecht.
    In molti punti l'opera si appella direttamente al pubblico, rompendo la "quarta parete" e ricercando un effetto che Brecht chiama di straniamento, contrapposto all'immedesimazione che al tempo di Brecht era lo standard dominante nella messinscena; per esempio vengono proiettate delle frasi sul fondale e i personaggi a volte portano in scena dei cartelli. L'opera pone rilevanti questioni politiche e sociali, con intento provocatorio, e punta a sfidare le nozioni di ciò che all'epoca erano considerati "teatro" e "decenza".

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    1. Ho atteso un pò, prima di rispondere al suo interessante intervento, attendendo gli sviluppi della querelle, che puntualmente non ci sono stati: io continuo a sostenere l'esigenza di una galleria regionale, ma confermandomi nell'idea che l'attuale Museo Riso, non sia niente, ma proprio niente!FGM

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  2. ....si ma che centra la politica col teatro !!!!!!!!!
    ....meglio restare anonimi..!!!!!

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    1. La politica c'entra sempre, nel bene e nel male: Purtoppo noi ci scontriamo sempre con pessima politica e pessimi politici. Ma non è, nè un destino, nè una maledizione!FGM

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