di Giovanni Caianiello - A Pomezia, qualcuno ha deciso che le bombe sono un messaggio più rapido ed efficace delle querele. Un ordigno piazzato sotto l’auto di Sigfrido Ranucci e di sua figlia ha ricordato a tutti che, in questo Paese, fare giornalismo d’inchiesta non è un mestiere: è un atto di temerarietà civile. Nessun ferito, ma solo per un caso fortuito. Il messaggio è stato chiaro: “Chi tocca i fili del potere deve stare molto attento”. Che la trasmissione Report desse fastidio a parecchia gente era più che risaputo. Il fastidio tipico della verità che prude, irrita, rovina la digestione a potenti e affaristi. Da anni, il programma guidato da Ranucci mette in luce affari opachi, conti esteri, legami tra politica, mafie e imprenditoria “creativa”.
Quasi tutti i governi si sono sentiti diffamati almeno una volta, e non c’è sottosegretario che non abbia sognato, anche solo per un istante, di poter decidere la scaletta della RAI , magari tagliando definitivamente quella trasmissione tanto scomoda e che fa i conti in tasca alla lettera. Cosa che ha comunque un prezzo. Nel caso di Report: oltre 200 querele. Le accuse spaziano dalla diffamazione alla lesa maestà istituzionale. E, come per magia, tutte finiscono archiviate.
Tradotto: ciò che è sempre stato raccontato nelle inchieste di Ranucci corrisponde alla verità dei fatti. Ma si sa, l’importante, quando non si vince, è intimidire. È la democrazia del “ti rovino la vita in via cautelare”. Tra i querelanti non mancano nomi illustri: ministri, senatori, presidenti di commissione, qualche imprenditore di complemento ed eredi di nobili famiglie, quelle politiche, s’intende.
Molti appartengono all’attuale maggioranza, altri arrivano da schieramenti opposti, a dimostrazione che la solidarietà tra potenti funziona meglio del bipartitismo.
Quando non bastano le carte bollate: “fazioso”, “militante”, “nemico del popolo”, in un Paese dove “fazioso” significa semplicemente “non allineato”, e “giornalista d’inchiesta” è sinonimo di “provocatore”.
Finché, poi, qualcuno decide che le parole non bastano e bisogna sostituire le querele con gli esplosivi.
L’ordigno sotto l’auto di Ranucci non è solo un atto criminale: è il punto d’arrivo di anni di delegittimazione sistematica. Un clima costruito a colpi di talk show, interrogazioni parlamentari e tweet indignati contro chi osa raccontare i retroscena del potere. Perché in questo Paese l’informazione è libera, ma solo se non disturba i manovratori. Incazzati come iene, però solidali se serve, ma solo per mascherare la faccia da deratano. E infatti, dopo l’esplosione, ecco la liturgia consueta: le condanne ufficiali, i messaggi di solidarietà, i comunicati con hashtag commossi e piagnucolanti.
Gli stessi che fino a ieri parlavano di “uso improprio del servizio pubblico”, oggi si stringono a Ranucci in segno di “vicinanza spinosa”. Una solidarietà che dura il tempo di un post su X, e che suona un po’ come: “Ci dispiace, ma la colpa è tua che te la vai a cercare”, però in trepidante attesa di ciò che Report mostrerà nelle prossime puntate, già annunciate, e che parlano di ciò che i comunicati di governo non raccontano: appalti truccati, società di comodo, fondi esteri con soci impresentabili, conflitti d’interesse grandi come ministeri. Nel frattempo, politici e malfattori continuano a fare ciò che riesce loro meglio: dichiararsi “difensori della libertà”, mentre preparano la prossima diffida. Perché, nel Paese delle querele a orologeria, l’unico crimine imperdonabile resta sempre lo stesso: raccontare la verità quando non conviene a chi comanda.
Mi piacerebbe pensare che l’attentato sia opera di qualche balordo, influenzato dalle critiche violente dei suoi beniamini politici ritenuti intoccabili. E che non ci siano invece mandanti più raffinati dietro questo gesto, magari affiliati malfattori, legati da vari intrecci sottobanco con i partiti dell’attuale governo. Tra l’altro, di più che dubbia moralità, visto che, guarda caso, sono infarciti di arrestati e condannati, che ora, ipocritamente, si lavano la faccia in solidarietà spinose.
Due giorni fa ne hanno arrestato un altro, di politico di spicco, guarda caso, di Fratelli d’Italia. Solo negli ultimi cinque anni, il numero stimato di indagati o arrestati si aggira intorno ai 70-80, tra PD, FI, Lega e, in particolare, FdI.
E scusate se è poco.
Giovanni Caianiello
20 ottobre 2025
Un attentato con quelle caratteristiche e quel grado di pericolosità per i destinatari non può mai essere opera di un balordo. Sarebbe auspicabile quanto impossibile
RispondiEliminaCondivido la tesi di Maurizio Alesi. Non può essere l'opera di un delinquente qualsiasi. C'è, purtroppo una evidente strategia che ha lo scopo di intimidire un giornalista vero come Ranucci. Una persona che non si arrende di fronte a una realtà criminale diffusa.
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