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mercoledì 2 giugno 2021

GAZA, UN ALTRO EPISODIO DELLA GUERRA DEI CENT'ANNI (parte seconda e terza)

di Torquato Cardilli - L'Inghilterra, pur di vincere contro la Sublime Porta, era disposta a realizzare, con estremo cinismo, una strategia politico-diplomatica per il nuovo assetto del Medio Oriente fondata su trattative segrete e accordi con chiunque anche se contrapposti e inconciliabili tra loro.
Nel 1915-16, ancor prima della dichiarazione Balfour, aveva concluso le intese MacMahon-Hussein, con le quali fu stabilito che a conflitto mondiale terminato, il mondo arabo (Palestina, Siria, Libano, Iraq) liberato dal giogo ottomano avrebbe avuto la sua indipendenza, a patto che si sollevasse in guerra aperta contro l’impero ottomano.

Lo sceriffo della Mecca Hussein fu convinto a gettarsi nell'impresa grazie all'audacia del colonnello dell'intelligence Lawrence d’Arabia. Con una campagna militare condotta con estrema mobilità, gli arabi conquistarono Aqaba ed assicurarono la definitiva protezione del Canale di Suez.

Tale accordo fu però rinnegato dalla contemporanea trattativa segreta Sykes-Picot, del tutto contrapposta, con la quale l'Inghilterra e la Francia concordarono di spartirsi, in un'ottica puramente coloniale, le spoglie dell'impero ottomano: l'Inghilterra avrebbe avuto il pieno controllo della Palestina fino al Sinai compreso il canale di Suez, mentre la Francia sarebbe diventata padrona della Siria e del Libano.

Questa trattativa segreta fu rivelata agli arabi inconsapevoli, solo dopo che la Russa rivoluzionaria, divenuta Unione Sovietica si era ritirata dal conflitto mondiale ed aveva cominciato a rivelare i segreti militari e politici custoditi negli archivi zaristi.

La pace di Versailles del 1919 cristallizzò la spartizione anglo-francese, ritenuta dagli arabi un vero tradimento e pertanto non riconosciuta, mentre l’Agenzia ebraica internazionale incominciò a promuovere una consistente emigrazione verso la Palestina di ebrei dalla Russia, Polonia, Germania, Francia, Belgio, Olanda.

Nei primi anni ’40 il Congresso sionista mondiale, con base negli Stati Uniti, aveva deciso che la Palestina dovesse essere trasformata in uno stato ebraico con l’appoggio sia del partito democratico che di quello repubblicano.

Tale posizione politica fu approvata a Londra dal partito di maggioranza tanto che il Governo inglese si sentì autorizzato a favorire l’immigrazione ebraica in Palestina.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale ancora un tradimento dell'imperialismo occidentale giocato su due tavoli ai danni degli arabi. Gli Alleati chiesero loro di opporsi all'occupazione da parte delle forze dell'Asse del canale di Suez, vitale per i rifornimenti necessari per l’Inghilterra provenienti dalle provincie dell'impero, mentre agli Ebrei (che avevano tutti una cultura occidentale con conoscenza di almeno una lingua europea) di arruolarsi per condurre vere e proprie operazioni militari sul terreno.

Gli inglesi inserirono nel loro schieramento nei vari teatri di guerra (Grecia, Francia, Italia), un corpo militare ausiliario, denominato legione ebraica, riconoscendogli l'uso di una bandiera con la stella di Davide, che diventerà poi la bandiera ufficiale di Israele.

A guerra ultimata gli arabi di Palestina e gli ebrei di nuova immigrazione reclamavano la sovranità sul paese su cui ancora comandava l’Inghilterra: i primi vantavano una presenza nel paese da 1400 anni, mentre i secondi fondavano la loro rivendicazioni sui legami biblici, anche se il loro progenitore Abramo era un immigrato dalla Mesopotamia.

L’afflusso di profughi ebrei in Palestina assunse nell'immediato dopoguerra enormi proporzioni: a fronte di 1 milione e 400 mila arabi residenti, gli ebrei che a inizio del secolo erano solo il 5% della popolazione, arrivarono a contare 700 mila persone. Gli arabi incominciarono ogni forma di protesta contro il mandato britannico, temendo di essere derubati del proprio paese e gli ebrei risposero con estrema durezza, incendiando le case dei palestinesi ed espellendoli con la forza.

Nel tentativo di placare le proteste e i sabotaggi, fu un continuo succedersi di Commissioni internazionali e di Comitati di indagine, dapprima sostenuti dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti e poi dall’ONU, appena nata, con il compito di individuare una soluzione di pacificazione tra i due campi avversi. Tutte queste Commissioni non furono capaci di produrre un risultato che non prevedesse la mera spartizione del paese in due stati: uno arabo e l’altro ebraico, partendo dall’assunto che il mondo percepiva il dovere internazionale di riparazione verso un popolo che era stato minacciato di annientamento con la concessione di un rifugio e una possibilità di vita.
Fine parte seconda (leggi la prima parte)

L'ONU però, rinnegando il principio democratico dell’autodeterminazione invocato dagli arabi, decretò il 29 novembre 1947 con la risoluzione 181 la spartizione della Palestina in 7 province 3 per gli ebrei, 3 per gli arabi ed 1 neutra ed internazionale di Gerusalemme, da attuarsi entro due anni.

Il problema di Gerusalemme ha sempre costituito un nodo inestricabile e sebbene Israele nel chiedere l'ammissione all'ONU si fosse impegnato a rispettare la risoluzione 181 che appunto prevedeva uno statuto speciale per la città santa delle tre religioni monoteistiche, si rifiutò sempre di adempiervi.

La spartizione attribuiva agli ebrei, che erano un terzo degli abitanti della Palestina, il 56% del territorio, mentre agli arabi che erano la stragrande maggioranza solo il 43%. Significava che la creazione dello stato ebraico avveniva a danno dei palestinesi che pur non avendo nessuna colpa delle sofferenze patite dagli ebrei, venivano condannati a pagarne il prezzo.

Da allora è stato un susseguirsi di guerre inutili, di lutti e dolori immensi di cui ancora una volta hanno fatto le spese gli incolpevoli palestinesi.

Disordini e sabotaggi, azioni di puro terrorismo da parte di organizzazioni paramilitari ebraiche contro gli arabi e di aggressioni arabe contro i singoli coloni ebrei fecero capire al Governo inglese che era arrivato il momento di tirarsi fuori da quel ginepraio, creato dalla sua politica di cieco imperialismo del “divide et impera”. Londra comunicò alle Nazioni Unite che si sarebbe ritirata definitivamente dalla Palestina, anticipando i tempi, il 15 maggio 1948.

Gli ebrei non aspettavano altro e proclamarono immediatamente la creazione dello Stato di Israele, riconosciuto dagli Stati Uniti appena due ore dopo, mentre gli arabi ritennero ingiusta la decisione dell'Onu, adottata con un solo voto di scarto e la contrarietà di tutti gli stati del Medio Oriente e dell'Asia, e la rifiutarono, considerando Israele un usurpatore da ricacciare in mare.

Gli eserciti di Egitto, Giordania e Siria, composti da soldati raccogliticci ed analfabeti, con armamenti antiquati, varcarono i confini pensando che fosse una semplice scorreria di predoni del deserto. Invece furono sconfitti ed umiliati dalla forza militare israeliana che poteva contare su ufficiali di cultura superiore, su soldati addestrati, su armamenti moderni, forniti dagli Stati Uniti che intendevano svuotare i loro arsenali e sull’appoggio politico di tutti i paesi occidentali, ancora con il rimorso sulla coscienza per aver assistito senza reagire allo sterminio nazista.

Con l'armistizio imposto dall'ONU nel 1949 Israele stabilì i propri confini laddove erano arrivati i suoi soldati, cioè ben al di là (15% in più) della linea spartitoria della Palestina stabilita due anni prima.

Da quel momento gli arabi palestinesi sprofondarono in un gorgo di estrema frustrazione, per gli stenti, l'umiliazione, il dolore di aver abbandonato le loro case e terre, la miseria di una vita nei campi profughi, acuita dal tradimento dei paesi che consideravano fratelli. L’Egitto e la Transgiordania, anziché costituire, seppure con un governo provvisorio, uno Stato arabo di Palestina così come previsto dall’ONU, senza alcuna giustificazione giuridica procedettero il primo all'annessione della striscia di Gaza e la seconda all'annessione della Cisgiordania proclamando il regno di Giordania.

Un popolo pacifico come era stato fino ad allora, diventò un popolo di senza terra, vessato da Israele e strumentalizzato dai governanti arabi, dal Marocco all'Iraq, la cui retorica guerrafondaia serviva solo a giustificare il loro potere con la scusa della difesa dell’orgoglio nazionale panarabo.

Nel 1949, l’ONU creò l’UNRWA, speciale Agenzia incaricata di gestire il problema del mezzo milione di palestinesi rifugiati sparsi nei campi di Giordania, Libano, Siria, Egitto.

Se Ben Gurion passò alla storia di Israele come il fondatore dello Stato, l’egiziano Nasser rivendicò la pretesa di rappresentare l'intera nazione araba. Non potendo però condurre nessuna operazione militare di liberazione della Palestina per la manifesta inferiorità rispetto ad Israele, volle prendersi una rivincita politica contro l'Occidente imperialista e nel 1956 nazionalizzò il canale di Suez.

Francia e Gran Bretagna non ebbero esitazione nell’invadere l’Egitto. Il governo di Tel Aviv, senza un plausibile motivo di autodifesa, si gettò nella mischia invadendo l'intero Sinai con l'obiettivo di espansione territoriale nell’ambizione, mai sopita, della creazione del grande Israele.

Anche in questo caso l'esercito egiziano subì una umiliante sconfitta trasformata politicamente in vittoria grazie alla minaccia dell’URSS di uso della bomba atomica se non fosse stata fermata l’aggressione. Gli Stati Uniti allora obbligarono Francia e Inghilterra al ritiro, mentre a Israele in cambio della restituzione agli egiziani del Sinai veniva garantita protezione militare.

Gli invasori europei tornarono a casa, ma Israele pur restituendo il Sinai si impossessò ancora di un decimo del territorio palestinese riservato agli arabi.
Fine terza parte

Torquato Cardilli

02 Giugno 2021

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