martedì 4 aprile 2023

EVITIAMO DI CADERE DALLA PADELLA NELLA BRACE. CI BASTA RIACCENDERE IL SOLE

di Torquato Cardilli - La generazione a cavallo della seconda guerra mondiale, da subito ha memorizzato i nomi delle città di Hiroshima e Nagasaki, quali simboli permanenti del disastro da bombardamento nucleare.
A quarant'anni di distanza da quella voluta catastrofe umanitaria ne avvenne, accidentalmente, un’altra: l’esplosione della centrale nucleare sovietica di Chernobyl, in Ucraina, che, a danno fatto, fu cementata in un triplice sarcofago di acciaio e cemento.

Allora l’intera Europa si chiese con apprensione cosa fare per mettersi al riparo da un simile disastro. Molti paesi, Germania in testa, vararono perciò un piano di chiusura progressiva delle centrali atomiche esistenti, con una procedura lunga, delicata e costosa, non attuabile con un click.

L’Italia, sentita la chiara volontà popolare, espressa nel referendum del 1987 (65% dei voti per il si), sancì il divieto di costruzione e di utilizzazione di centrali nucleari nel territorio nazionale, e votò per lo smantellamento di quelle esistenti (Trino, Caorso, Latina, Garigliano).

Da allora tutti i Governi successivi, senza alcuna visione del futuro, sono rimasti pressoché immobili. Non hanno curato, se non limitatamente, lo smaltimento di 90.000 metri cubi di scorie nucleari (il cui costo è tuttora presente nella bolletta elettrica degli italiani) limitandosi, dopo varie multe irrogate dall’Europa, ad indicare 67 siti di stoccaggio sparsi nel paese.

La grave inerzia di non aver varato alcun piano strategico nazionale per il ricorso a fonti alternative al posto dell'energia nucleare (il solare, l’eolico, l’idrico, le biomasse), è stata praticamente sorella maggiore della sciatteria e noncuranza mostrata nel piano anti pandemia, fermo al 2006, falsamente aggiornato sulla carta al 2016, rivelatosi carente e assolutamente inadatto per fronteggiare il Covid del 2020.

Una classe politica sorda agli avvertimenti degli ecologisti e della scienza, ha preferito continuare a far funzionare il paese con gli idrocarburi consentendo enormi profitti ai petrolieri, ai broker, agli armatori e alle raffinerie, cioè trasferendo ricchezza dai bisognosi in favore di chi non ha bisogno.

Nel 2011, un violento terremoto sottomarino causò un eccezionale tsunami con danni gravissimi a tre reattori della centrale nucleare di Fukushima.

Come nel caso di Chernobyl del 1986, la reticenza dei responsabili nel negare per giorni la gravità dell’accaduto, rallentò in modo irreparabile la limitazione del disastro ecologico, di enormi proporzioni, tuttora presente per l’immissione continua in mare di acqua contaminata, con conseguenze durature sull’habitat marino e sulla salute delle persone ben oltre i confini del Giappone.

L’evento impose un generale ripensamento sull’uso del nucleare e l’Italia con un nuovo referendum (26 milioni di elettori votarono contro il nucleare) decise l’abrogazione delle norme introdotte nel 2008 dal governo Berlusconi sulla produzione di energia nucleare, aggiungendo il divieto per le imprese nazionali di partecipare a costruzioni di centrali anche all’estero.

Da allora, e più ciecamente di prima, fino a tutto il 2021, si è continuato a contare a ritmi crescenti sul gas e sul petrolio russo.

Come avviene in ogni attività commerciale quando si dipende da un solo fornitore la relazione diventa una condizione-capestro che può trasformarsi in un’arma in mano al venditore, padrone del bello e del cattivo tempo, e che si può permettere eventuali azzardi senza timore di conseguenze.

L’improvvisa impennata del costo del gas, provocata artatamente dagli speculatori ben prima della guerra in Ucraina, e le successive sanzioni anti Russia ci hanno fatto toccare con mano come sia stato un capitale errore quello di non aver scelto un’alternativa seria agli idrocarburi e di consegnarci a mani giunte in braccio ad un solo paese che ci forniva, fino all’inizio del 2022, quasi il 48% del nostro fabbisogno.

Errore nell’errore fu poi la scelta europea di permettere a ciascuno di negoziare in ordine sparso accordi di rifornimento di gas e petrolio con paesi autoritari, che calpestano ogni giorno i diritti umani, senza considerare gli effetti molto negativi, a lungo termine, della dipendenza energetica sempre più iugulatoria.

Quindi obbedienti al diktat sanzionatorio dell’alleanza occidentale, senza chiedere un periodo di grazia, come hanno fatto altri paesi dell’UE e della Nato che non hanno aderito alle sanzioni totali, siamo andati in pellegrinaggio a riverire più volte satrapi e dittatori, ingoiando rospi per gli affronti subiti, pur di ottenere il gas vitale al funzionamento della nostra industria e dell’intero sistema economico.

Ma le visite in Algeria, Libia, Egitto, Emirati, Qatar non potevano soddisfare con immediatezza le nostre richieste di rifornimento ed allora ci siamo presentati con il cappello in mano al cospetto del grande fratello per elemosinare, prostrati, forniture di gas liquido da inviare via mare e rigassificare a destinazione in apposite navi ormeggiate sulla costa, ad un prezzo doppio di quello che pagavamo ai russi.

Di fronte alle difficoltà, come un’araba fenice, è riemersa l’alleanza delle solite lobby industrial-finanziarie che hanno riproposto a gran voce l’argomento della reintroduzione in Italia dell'energia nucleare, diventato anche un cavallo di battaglia in occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche di settembre dell’anno scorso.

Con quale motivazione, nonostante la duplice bocciatura referendaria? Brandendo come un bollettino di vittoria la valutazione positiva del nucleare contenuta nella Tassonomia della Finanza Sostenibile data dalla Commissione europea, organismo che sembra sempre più in balia degli eventi.

Le posizioni assunte dalle forze politiche sono state di tre tipi: possibilista con forte tendenza al sì della intera destra, apertamente a favore il terzo polo, espressamente contrari alla reintroduzione del nucleare la sinistra e il M5S.

La maggioranza politica nel parlamento, che non corrisponde a quella del paese, non ha fatto i conti con la realtà sul terreno. Tanto il nuovo Governo quanto l’organo tecnico Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari), partecipata del Ministero dell’Economia, non hanno prodotto stime attendibili sui costi di costruzione di nuove centrali, dei tempi di realizzazione, del costo di approvvigionamento dall’estero del combustibile nucleare, di sicurezza, di prevenzione da radiazioni, di stoccaggio delle scorie e degli obiettivi di produzione.

Solo genericamente è stato ipotizzato un costo superiore ai 20 miliardi di euro per la costruzione di due centrali nucleari che, se iniziate nel 2023, ipotesi del tutto irreale, non potranno essere operative prima del 2030 con una produzione di appena l’8% del fabbisogno nazionale. Insomma una montagna di soldi (destinata a raddoppiare in sede di consuntivo) senza ottenere, né prima né dopo quella data, un apprezzabile beneficio in termini di efficienza energetica, di autonomia, di riduzione dell’inquinamento.

Dunque ipotesi assolutamente improponibile anche perché ci avrebbe riportato nuovamente in braccio alla madre che ci aveva allattato in campo energetico fino ad ora, cioè la Russia.

Stiamo parlando di un paese che è il primo esportatore mondiale di gas, il secondo di petrolio ed il terzo di carbone, con una posizione di assoluta preminenza anche nel settore nucleare, ancora non soggetto a sanzioni per gli interessi incrociati di vari paesi. Significa legarsi ad una dipendenza maggiormente pericolosa, anche se non percepita immediatamente, come illustrato dalla rivista Nature e dal New York Times.

Per il nucleare occorre l’uranio: quello naturale è una miscela di due isotopi, U 235 e U 238. Solo il primo produce energia nei reattori nucleari a fissione. La stragrande maggioranza di quelli operativi nel mondo (>90%) ha bisogno di uranio arricchito, dato che il semplice minerale di uranio non è utilizzabile come combustibile nucleare.

La Russia, tramite la società madre Rosatom interamente statale, e le sue sussidiarie Tvel, Atomflot, Atomstroyexport, domina il mercato del combustibile nucleare: controlla il 38% dei processi di conversione e il 46% dei processi di arricchimento nel mondo. I suoi principali concorrenti, cioè Stati Uniti, Francia, Cina, Giappone e Corea rappresentano tutti insieme appena il 40%.

Per avere un metro di paragone, è come dire che sul nucleare la Russia ha lo stesso ruolo preminente che l’OPEC esercita nel settore del petrolio.

Rosatom produce anche reattori e fornisce “pacchetti completi chiavi in mano” (costruzione del reattore con gestione operativa, fornitura del combustibile e trattamento delle scorie).

Tra i vari paesi che si sono rivolti alla Russia per avviare programmi nucleari, vale qui la pena ricordare che Rosatom sta costruendo una centrale a Akkuyu (Turchia) secondo il modello riassunto nella sigla B.O.O. (Build, Own, Operate) cioè costruire-possedere-operare. Questo significa che la centrale costruita con capitale russo, alimentata da combustibile russo, resterà per sempre sotto il totale controllo della Russia che in cambio erogherà energia al paese ospitante a prezzo calmierato. In altri termini la centrale nucleare sarà né più né meno che un’enclave russa all’interno di un paese NATO.

Inoltre tutti i paesi dell’ex blocco sovietico sono ancora legati alla Russia per il combustibile nucleare, così come lo era l’Ucraina (prima dell’invasione) che produceva il 55% della sua energia elettrica tramite nucleare.

L’Ucraina per i suoi reattori ora utilizza solo combustibile proveniente dagli Stati Uniti, secondo procedure e adattamenti avviati da circa dieci anni, quando gli occhi di Washington erano già puntati su quel paese per una penetrazione politica che si è manifestata via via sempre più invadente.

Anche in Europa c’è chi ha rapporti privilegiati con la Russia: La Francia continua ad acquistare dalla Russia il combustibile nucleare arricchito per quasi 1/6 del suo fabbisogno.

Sarebbe dunque un errore grave farsi ammaliare dalla sirena del nucleare per finire sottoposti ad un’altra dipendenza dalla quale poi sarebbe impossibile liberarsi.

Dopo esserci resi troppo dipendenti dalla Russia con il gas, replicare con l’energia nucleare sarebbe davvero una pessima idea. Meglio evitare di cadere dalla padella nella brace.

Per affrancarsi da una dipendenza estera (idrocarburi o materiale nucleare), bisognerebbe fare ricorso massiccio all’unica risorsa primaria gratuita, pulita e perenne, regalata dalla natura, il sole e con i suoi alleati vento e acqua.

Occorre un piano strategico nazionale che, pur accrescendo gli impianti di sfruttamento dell’idroelettrico e eolico, faccia un’imponente operazione sul fotovoltaico.

L’Arabia Saudita, paese che galleggia su un oceano di petrolio, ha già costruito nel deserto il più grande parco fotovoltaico del mondo, seguita dal Marocco.

Noi non abbiamo deserti ma un oceano di tetti di edifici pubblici (scuole, università, ospedali, ministeri, caserme, enti locali, società partecipate, tutti grandi consumatori di energia) e milioni di edifici privati, industriali e abitativi, su cui installare pannelli con o senza incentivi.

Torquato Cardilli

4 aprile 2023

5 commenti:

  1. Pannelli solari con o senza incentivi? Con incentivi (agevolazioni PNRR) accompagnati da una programmazione e controlli dell'amministrazione locale.

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    1. Lorenzo, "programmazione e controlli dell'amministrazione locale" sono d'accordo, ma nel senso che sia la popolazione a controllare le amministrazioni locali, altrimenti, dati tempi e persone, quelli vanificano o se magnano pure l'aria!

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  2. Questo articolo di Tommaso Cardilli è altamente illuminante! Io ho i pannelli solari da circa 15 anni e sono discretamente indipendente dall'energia elettrica. Ma potevo fare di più... e mi vado convincendo di aumentare il mio foto-voltaico, tra tetti e tettoie. Complimenti all'autore per l'esposizione chiara ed incisiva, anche per i nostri politici inetti ed ignoranti! Ecco che la nostra rubrica "decrescita felice" che curavo circa dieci anni fa, era oserei dire profetica!

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  3. Non sono anonimo! Sono Giuseppe Vullo! Evidentemente non ho più dimestichezza con questo blog.

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  4. Armando Pupella
    I tetti delle nostre case e dei capannoni agricoli e industriali possono produrre energia elettrica dal sole.
    Automobile elettrica? No, grazie !
    https://www.toyota.it/idrogeno/
    ALL' ITALIA OCCORRE INDIPENDENZA ENERGETICA, FINANZIARIA, ALIMENTARE, E P O L I T I C A.
    Nei Paesi produttori di gas e petrolio, e dove passano gasdotti ed oleodotti, c'è più kasino del necessario con guerre e rivolte.
    Il futuro si trova nel passato, precisamente nel cosiddetto buio medio evo (talmente buio che Dante è nella moneta di 2 euro !) con sorella acqua e fratel sole nel Cantico delle creature di San Francesco di Assisi. L' idrogeno si ottiene dall'acqua scindendola in ossigeno ed idrogeno con l'elettricità che si puo produrre con l'enegia solare. Potremmo installare migliaia di kilometri quadrati di pannelli solari sui tetti delle nostre case e sui capannoni industriali se non fossimo ipertartassati per finanziare sprechi, spropositati privilegi politici nazionali e locali, troppe poltrone politiche in tutta Italia. Idrogeno e ossigeno gas puliti come sorella acqua.

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