sabato 12 novembre 2022

DAL PREFETTO DI FERRO A QUELLO DI LATTA

di Torquato Cardilli - Correvano gli anni venti del secolo scorso e il presidente del Consiglio, Mussolini, affidò al prefetto Mori carta bianca, con giurisdizione su tutta la Sicilia, per stroncare la mafia con ogni mezzo.

La sua azione, con l’impiego di molte centinaia di carabinieri in assetto di guerra, che arrestarono più di 400 capi mafiosi, affiliati e familiari, fu talmente robusta che gli fu affibbiato il soprannome di prefetto di ferro.I capifamiglia scampati alle retate si rifugiarono in America che ce li restituì, liberi e potenti, alla fine della seconda guerra mondiale.
A cento anni di distanza da quella nomina, sembra che il nuovo Governo abbia spostato l’obiettivo della lotta senza quartiere al malaffare mafioso su un nemico meno pericoloso, meno offensivo per il paese, ma elettoralmente ritenuto più redditizio, come i migranti che sperano di mettersi in salvo da guerre e persecuzioni e cercare una vita migliore.

Il presidente del consiglio Meloni, avendo fatto propria la retorica leghista sul pericolo di invasione, ha affidato tale compito di “salvezza nazionale” ad un altro prefetto, quello di Roma, Piantedosi, nominato ministro dell’Interno.

Scelta questa, suggerita dal capo leghista, che l’ha ritenuta come la persona giusta con alle spalle un curriculum di esperto del settore, per essere stato nel 2018 suo capo di Gabinetto quando comandava al Viminale.

Il fatto che lo stesso Salvini sia tuttora sotto processo per la maldestra politica (gestita da quel Gabinetto) di arbitrario trattenimento a bordo su un paio di navi di qualche centinaio di immigranti, ripescati in mare provenienti dalla Libia, avrebbe dovuto invitare alla prudenza. E invece no.
L’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi era stato salutato, anche dall’opposizione, che ha riconosciuto la sua vittoria elettorale in modo democratico, e dall’opinione pubblica per la novità assoluta di avere una donna come comandante della nave Italia.
Ma non è passato neanche un mese dal giuramento che già sono apparse le prime crepe politiche per colei che, anche qui sul modello Salvini, alla vigilia delle elezioni urlava contro l’Europa “è finita la pacchia”.

Si ha l’impressione che alcuni scivoloni su decisioni di ordine pubblico intempestive, male strutturate e peggio gestite, possano avere già compromesso il tranquillo percorso della cosiddetta luna di miele dei 100 giorni, che normalmente viene garantita fino alla legge di bilancio (Natale?).

A soli tre giorni dal giuramento del Governo, la polizia ha esercitato una dura e sproporzionata azione di repressione contro gli studenti inermi che contestavano all’Università di Roma un convegno di chiara matrice di destra. Le immagini dei manganelli in aria, attraverso TV e social, hanno fatto il giro del paese che è rimasto disturbato da questa manifestazione di violenza non controllata delle forze dell’ordine.

Alla critica degli esponenti politici se ne è aggiunta presto un’altra per l’iniziativa del prefetto-ministro che ha proposto e fatto approvare un decreto legge per la protezione della sicurezza nazionale teso a vietare i rave party, redatto con una formulazione giuridicamente claudicante e fortemente sospettato di incostituzionalità (come noto il decreto legge è un atto con valore di legge provvisorio che entra in vigore immediatamente, adottato in casi straordinari di necessità e urgenza, che deve essere convertito in legge pena la sua decadenza entro due mesi).

Il provvedimento ha fatto ridere mezza Italia mettendo in bilico il capitale di simpatia espresso da tanti italiani verso la prima donna a Palazzo Chigi, tanto è vero che lo stesso Governo, subissato di critiche, si è affrettato a precisare che ovviamente il Parlamento avrà tutta la possibilità di migliorare il decreto anti riunioni che prevede pene addirittura superiori a quelle previste per omicidio stradale o rapina.

Se la lotta contro i rave party ha mostrato l’incapacità di elaborare un decreto in linea con i principi costituzionali, la successiva esibizione muscolare contro le navi delle Ong piene di emigranti cui è stato impedito l’attracco, è stata un’altra buccia di banana che ha fatto indignare mezza Europa.

Il ministro, difeso dal Presidente del Consiglio che ha rivendicato con orgoglio che l’Italia non va più considerata come una repubblica delle banane, avvolgendosi metaforicamente nella bandiera nazionale, ha ribadito che è suo dovere difendere i confini dell’Italia e di impedire ogni violazione delle leggi nazionali da parte di natanti non autorizzati.

Dopo un paio di giorni di stallo, temendo possibili risvolti penali, politici e diplomatici causati dalla pretesa che le navi battenti bandiera norvegese e tedesca si dirigessero nei porti nazionali del Nord Europa, visti i decisi rifiuti di Berlino e di Oslo, ha cominciato ad allargare le maglie della rete di protezione, rete che non era d’acciaio come sbandierato, ma di lana sfilacciata.

Il classico tira e molla all’italiana, di fronte all’irritazione europea (anche del Vaticano) per questa sgraziata espressione di un modo di pensare autoritario, ha cominciato a cedere quando il ministro, scoprendo di essere fatto di latta, si è piegato al rispetto del diritto internazionale.

Prima sono stati fatti sbarcare i minori non accompagnati, poi i malati e le donne, poi i cosiddetti ritenuti fragili secondo un’ispezione dei sanitari italiani, lasciando a bordo un gruppetto di una trentina di migranti, definito con un’espressione altamente censurabile, un carico residuale, quasi fossero dei sacchi di carbone, che dovevano essere fatti sbarcare in un altro paese e non in Italia.

Il presidente francese Macron, volendo dimostrare buona volontà nel risolvere il problema senza che ne soffrissero i rapporti bilaterali con Meloni, da pochi giorni incontrata con manifestazioni di reciproca collaborazione, ha consentito in via straordinaria che la nave della Ong Ocean Viking mettesse la prua verso Tolone.

Anziché tenere un basso profilo il duo Meloni-Salvini, senza nemmeno coordinarsi con il ministro degli Esteri Tajani in visita in Olanda con il Presidente della Repubblica, né con il consigliere diplomatico, credendo di essere ancora in campagna elettorale, ha commesso un errore clamoroso. Utilizzando la questione come se fosse un argomento di politichetta interna, ha espresso il ringraziamento alla Francia, accompagnandolo con uno sgraziato trionfalismo per dire che Parigi si era piegata di fronte alla fermezza italiana. Risultato?

Figuraccia planetaria per aver infranto clamorosamente il protocollo di cortesia internazionale, e provocato un incidente diplomatico danneggiando i rapporti bilaterali che sarà difficile ricucire.

Tanto è bastato alla estrema destra francese (per ironia alleata di Meloni) per accusare il proprio governo di cedevolezza ingiustificata e di danno agli interessi nazionali costringendo Macron e i suoi ministri ad assumere un atteggiamento di fermezza con la dichiarazione dell’avvenuta rottura del rapporto di fiducia con l’Italia.

Il Ministro degli esteri e quello dell’economia si sono spinti più in là ritenendo di non poter sopportare la provocazione all’onore della Francia con l’avvertimento che le intese bilaterali secondo il trattato del Quirinale ne avrebbero risentito a cominciare dal blocco della ripartizione dei rifugiati con il rafforzamento di polizia ai confini territoriali.

Con questo passo falso abbiamo perso, in poche ore, la carta di poter contare sull’alleanza della Francia nella soluzione di una serie di dossier aperti a livello europeo sul piano economico dei fondi del PNRR, del patto di stabilità, della possibilità di contrarre nuovo debito e del tetto al prezzo del gas.

Il povero Ministro degli Esteri Tajani dovrà fare gli straordinari per ritessere la tela lacerata dei rapporti bilaterali con la Francia il cui atteggiamento divenuto improvvisamente ostile ci pregiudicherà di ottenere un minimo di miglioramenti delle condizioni europee.

Torquato Cardilli
12 novembre 2022

4 commenti:

  1. La mafia è una montagna di merda
    Peppino Impastato, e noi l'abbiamo al governo
    Schifooooo totale

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  2. Ci sono alcuni errori, se Giorgio/a Meloni ha parlato di mafia non ha specificato se la lotta alla mafia è per combatterla o per farla entrare di più nelle istituzioni. La seconda è la domanda Piantedosi chi? La terza naturalmente riguarda l''uomo di punta del governo Brancaleone, il ministro di tutti i ministeri Salvini che si è preso anche il ministero delle merende e insaccati dove in foto sta facendo una ispezione ministeriale.

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  3. Questo è lo specchio di una classe politica giunta ormai - nel suo complesso - ai minimi termini. Propaganda, proclami di basso profilo, prese di posizione approssimative e scarsamente meditate, hanno preso il posto dell'autorevolezza, della capacità di mediazione, della diplomazia di alto profilo,di quella diplomazia abituata a muoversi in esecuzione di puntuali indirizzi politici. In queste condizioni, il salto nel buio è assicurato.

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  4. Dalla piccola Meloni alla piccola Italia!

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