mercoledì 31 agosto 2022

QUALE POLITICA ESTERA DOPO LE ELEZIONI?

di Torquato Cardilli - L’espressione latina “pacta sunt servanda”, ben nota a chi mastica di diritto, sintetizza il principio fondamentale regolatore dei rapporti tra Stati, ripreso dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati che si riferisce esclusivamente ai patti tra gli Stati, escludendo la possibilità di estenderne l’applicazione agli accordi stipulati tra Stati e Organizzazioni internazionali.

D’altra parte se il trattato per definizione non è valido per l’eternità, dato che prevede le modalità di denuncia o revisione in relazione al trascorrere del tempo ed alle mutate condizioni politiche, a fortiori può essere rinegoziata ogni intesa tra Stati e Organizzazioni internazionali.

In politica estera vale il principio della continuità dello Stato.

Il nuovo Governo, che nascerà dopo le elezioni previste tra meno di un mese, di qualunque partito e colore esso sia, nel perseguire gli interessi nazionali dovrà attenersi ai patti internazionali e, solo in condizioni di parità con gli altri Stati, come recita la nostra Costituzione, concedere limitate rinunce di sovranità in favore dell’Alleanza a cui partecipa.

Fatta questa doverosa premessa va ribadito che l’Italia repubblicana, atlantista dalla prima ora e poi paese fondatore del primo embrione di Unione Europea, non si è mai tirata indietro di fronte agli obblighi dell’Alleanza, accettando di adempiere senza contropartite e condizioni.

Negli ultimi venti anni il Governo, senza che il popolo ne fosse adeguatamente informato, ha privilegiato, con troppo zelo e disinvoltura, la difesa degli interessi dell’Alleanza a scapito del welfare interno, dimenticando il principio costituzionale “in condizioni di parità”.

La nostra partecipazione diretta o indiretta alle guerre in Serbia, Iraq, Siria, Afghanistan, Libia, e da ultimo in Ucraina, è stata un ripetuto costoso servizio, reso gratuitamente senza ottenere alcuna compensazione.

L’adesione alle sanzioni imposte, sempre su input americano, contro gli abituali nostri fornitori di risorse energetiche e contro i mercati di sbocco delle nostre esportazioni, non ci ha portato nessun vantaggio politico, economico, sociale, anzi ha rappresentato un costo insopportabile per le imprese, per il ceto medio basso, per i lavoratori e in definitiva per il bilancio dello Stato.

Propinando fandonie, ci dicevano che la guerra contro l’Iraq, accusata falsamente di possesso di armi di distruzione di massa, serviva alla nostra sicurezza, alla distruzione di al-Qaida (che non aveva mai messo piede in Iraq), alla stabilità internazionale ed alla pace.

Obiettivi miseramente falliti.

I bombardamenti occidentali a tappeto su Baghdad, Mosul, Bassora, Samarra ecc. hanno massacrato non meno di 600 mila persone innocenti (è questo sì o no un crimine di guerra?); il terrorismo internazionale, lungi dall’essere sradicato è aumentato con l’insorgenza di altri gruppi e fazioni radicalizzate nel fanatismo; al posto della stabilizzazione dell’area si è assistito al più completo disfacimento del paese che da laico è diventato confessionale, all’accaparramento delle risorse petrolifere, di cui non abbiamo visto nemmeno una goccia, nonché dei lucrosi contratti per la ricostruzione delle infrastrutture in cui non abbiamo posato neppure un mattone.

Quella guerra, che è costata un enorme tributo di sangue dei nostri soldati e qualche miliardo di euro, è servita solo a soddisfare la voracità dell’industria militare delle multinazionali anglo-americane, e a inorgoglire lo spirito da sceriffo dell’inquilino della Casa Bianca, basato sulla politica da far west del “wanted” con taglia. È rimasto soddisfatto, ma a che prezzo, solo con l’impiccagione di Saddam Hussein, e con la riaffermazione del proprio primato politico-militare.

Dopo l’attentato alle Torri gemelle di New York del 10 settembre 2001, sulla base della clausola di solidarietà automatica della Nato di soccorrere il paese membro dell’alleanza attaccato, nel presupposto errato che di quel massacro fossero responsabili i Talebani, abbiamo partecipato alla guerra in Afghanistan, propagandata anche nel nostro parlamento come missione di pace per punire il terrorismo internazionale, per garantire la sicurezza dell’Italia, per instaurare la democrazia in un paese arretrato e oscurantista, per estirpare la piaga della coltivazione e del commercio di droga.

Gli autori della strage di New York non erano afghani, bensì terroristi yemeniti, sauditi ed egiziani. Fa niente. Bisognava dimostrare al mondo che l’alleanza reagiva compatta al seguito del paese leader anche se a spese di centinaia di migliaia di vittime innocenti.

Anche là si cercava la punizione di un solo uomo, il principe nero del terrorismo internazionale, il saudita Bin Laden che però è stato passato per le armi con un blitz nel suo rifugio in Pakistan.

Da allora, consumata quest’altra vendetta, non aveva più senso continuare una guerra persa e Trump, a differenza di Obama (insignito a sproposito del Nobel per la pace) che aveva sprecato otto anni di presidenza, pensò bene di accordarsi con i Talebani per mettere fine alla spedizione, terminata sotto Biden con la vergognosa fuga da Kabul dell’agosto 2021.

Noi italiani, utilizzati come truppe di rincalzo, non siamo stati consultati preventivamente sulle più importanti decisioni di operazioni militari, né siamo stati coinvolti nel processo dei negoziati per lo sganciamento dall’Afghanistan, condotti in perfetta solitudine dagli USA che ci hanno informato a cose fatte.

Pure da Kabul abbiamo rimpatriato troppe bare dei nostri caduti e contato parecchi mutilati e feriti senza che all’Italia fosse stato riconosciuto un ruolo nella politica estera mondiale.

Non abbiamo ottenuto nulla, nessuna soddisfazione nei rapporti bilaterali o multilaterali; al contrario siamo stati umiliati con l’esclusione dal negoziato sulla questione nucleare iraniana, riservato ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania: come dire che in Europa contano solo il Regno Unito, la Francia e appunto la Germania.

Sempre in tema di Nazioni Unite ci sono state inflitte ulteriori umiliazioni: a causa del mancato sostegno europeo abbiamo dovuto condividere con l’Olanda il seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza e ingoiare il respingimento della nostra proposta di modifica delle regole sulla composizione del Consiglio, portata avanti per dieci anni con una costante campagna diplomatica a tutto campo per l’acquisizione del consenso di più di metà degli Stati membri. Tutto è stato inutile per l’opposizione proprio degli alleati Stati Uniti, Regno Unito e Francia.

Nel Mediterraneo abbiamo fatto fronte da soli al costante flusso di immigrati dall’Africa, hub di disperati provenienti da mezzo mondo, senza che l’Unione Europea riconoscesse che Lampedusa è l’estremo lembo sud del confine europeo e che l’intesa di Dublino, dai nostri governi colpevolmente accettata, dovesse essere profondamente rivista.

Non abbiamo ricevuto in concreto, al di là della solita paternalistica pacca sulla spalla, nessuna solidarietà atlantica o dell’Unione Europea o dell’ONU nella questione dei due marò prigionieri in India, dell’assassinio del nostro connazionale Regeni ad opera dei torturatori dei servizi militari egiziani, né dell’imboscata letale contro il nostro ambasciatore Attanasio in Congo.

In ogni teatro di intervento o foro internazionale, abbiamo semplicemente obbedito eseguendo quanto ci era richiesto, anche se si trattava di sottoporre a torsione la nostra Costituzione, financo consentendo, con la collaborazione dei nostri servizi, il rapimento sul suolo italiano di uno straniero trafugato poi dalla CIA in Egitto per essere affidato a quelle tristi camere di tortura.

In molti casi il Governo, con l’avallo di un parlamento (infarcito di portaborse, lacchè, badanti e figure del calibro di Razzi, Scilipoti, De Gregorio, Rossi, Fascina, ecc.) pronto al voto di fiducia a ripetizione, più per interesse personale che per quello della nazione, è stato incline a dare prova di muscoli di cartone e a fare sfoggio di vanterie verso l’alleato maggiore, desideroso di non sfigurare, pur di stare al tavolo dei grandi.

Il nostro comportamento con la Libia è stato a dir poco pagliaccesco e vile. Prima l’umiliante baciamano pubblico di Berlusconi a Gheddafi ricevuto a Roma con tutti gli onori e le amazzoni di contorno, poi il tartufesco nascondersi del nostro presidente del Consiglio insieme al ministro degli Esteri Frattini e al ministro della Difesa La Russa in violazione del patto (che era stato debitamente ratificato dal parlamento) di mutua assistenza, anche militare, abbandonando il rais libico alla sua sorte macabra e la Libia alla più completa anarchica dissoluzione.

Si capiva da lontano quanto gli Stati Uniti, la Francia e il Regno Unito fossero desiderosi di ridimensionare il nostro ruolo, di assestare un colpo ai nostri rapporti privilegiati di esportazioni e di acquisto del 40% degli idrocarburi libici, di tagliare i profitti dell’Eni, e di mandare gambe all’aria le nostre imprese lì impegnate con contratti di parecchie centinaia di milioni di euro.

Da primo partner commerciale della Libia siamo diventati insignificanti sul piano economico, politico e militare, in cui ora primeggiano altri attori, ma abbiamo conquistato il primato come obiettivo di approdo del traffico di immigrati disperati, messi in mare dai mercanti di carne umana su barconi, canotti e zattere a rischio di affondamento con enormi guadagni della criminalità transnazionale che ha continuato a operare indisturbata.

Sul terreno delle sanzioni, che ci arrecano perdite ingenti in vari settori del commercio con l’estero, ci siamo accodati all’atteggiamento dell’Alleanza contro la Russia (sin dal 2014 per l’occupazione della Crimea), il Venezuela, l’Iran. Con quali risultati? Solo danni al nostro sistema produttivo.

Da sei mesi per la guerra in Ucraina, che non è un paese nostro alleato, soffriamo restrizioni crescenti più di ogni altro paese europeo, senza un chiaro obiettivo politico e temporale, se non quello dell’obbedienza cieca, a differenza di quanto fa la Turchia che, da paese Nato, rivendica libertà di manovra.

Quanto durerà la questione della penuria di gas, di energia, delle restrizioni imposte all’industria, all’artigianato, ai lavoratori ed alla boccheggiante economia del settore agroalimentare, già duramente colpito dalla crescente inflazione, dall’abnorme aumento del costo dell’energia e delle materie prime (pagate in moneta americana che si è rivalutata sull’euro del 20%), dalla siccità, dalle inondazioni?

I prossimi mesi e l’inverno saranno durissimi e stiamo già pagando il prezzo delle contro sanzioni della Russia che ci dà la metà del gas di cui eravamo abituali compratori, ma a un prezzo triplo o quadruplo di quello fornito l’anno scorso, oppure ce lo sospende del tutto, a giorni alterni, mandandoci nel panico, mentre famiglie ed imprese (150 mila sono a rischio chiusura), si ritrovano soffocati da un rincaro energetico senza precedenti.

Secondo il Financial Times, contrariamente all’ottimismo di maniera manifestato da Draghi a Rimini, la grande finanza avrebbe scommesso sul fallimento dell’Italia e sulla realtà politica del post elezioni.

Tutto questo per l’invasione a tradimento dell’Ucraina da parte della Russia che non può essere condonata perché in flagrante violazione del diritto internazionale. Così come non potrebbe essere condonata un’altra violazione del diritto internazionale, cioè l’occupazione militare da parte di Israele dal 1967 di Gerusalemme araba, della Cisgiordania e delle alture del Golan in Siria, che non ha suscitato la sollevazione del mondo democratico, salvo produrre un centinaio di risoluzioni dell’Onu lasciate cadere nel dimenticatoio. Evidentemente i bambini palestinesi uccisi o orfani, condannati ad una vita da profughi, valgono meno di quelli ucraini.

Certo Putin, vista la sorte dei citati nemici degli Usa fatti fuori, non deve stare tranquillo, ma per noi il gioco vale la candela?

Sarà capace il nuovo governo post elezioni di farci uscire dal tunnel buio dei razionamenti per i costi energetici esplosi, in cui ci ha fatto entrare spensieratamente Draghi con la formuletta “preferite la pace o l’aria condizionata?” senza prevedere realisticamente che non avremo né l’una né l’altra?

Sarà capace di rinegoziare certe limitazioni nei rapporti con gli Alleati? Penso di no.

La prova del nove ci sarà fornita (come fu nel caso tragico della funivia del Cermis) dalla non punibilità in Italia della soldatessa americana Julia Bravo che, ubriaca, ha ucciso sulla strada il giovane quindicenne italiano Zanier vicino a Pordenone.

La Bravo per ora è agli arresti domiciliari nella base americana di Aviano con tutti i comfort, mentre un nostro connazionale Chico Forti continua da venti anni a languire in un carcere americano per scontare la condanna all’ergastolo inflitta per un delitto non commesso.

Per un trattato bilaterale sul difetto di giurisdizione italiana sui militari Usa saremo costretti a spedire in America la Bravo, nella disperazione dei genitori del povero adolescente, che viene assassinato per la seconda volta da un’ingiustizia da codardi. Saremo almeno capaci di pretendere la grazia e la liberazione del nostro connazionale?

Torquato Cardilli

31 Agosto 2022

2 commenti:

  1. Adoperarsi per la pace universale: la guerra distrugge, la pace costruisce. Combattere la fame e la povertà: restituire ai deserti le coltivazioni scavando pozzi per avere acqua o dissalando l'acqua del mare. La tecnologia consente tutto questo, i plutocrati, gli oligarchi gli speculatori finanziari, i banchieri, i massoni, i politici corrotti e opportunisti sono contrari. Il sistema liberista al momento prevale e gli USA ne sono i maggiori rappresentanti.

    RispondiElimina
  2. E' un piacere leggere un'esposizione di fatti incontrovertibili che da soli, senza la necessità di esprimere giudizi da parte dell'autore, fanno emergere un quadro di insieme assai poco esaltante della politica estera del nostro Paese.
    Non di tratta di opinioni bensì di fatti accertati ma che sono stati lasciati scivolare nella sordina dell'oblio fidando nella memoria da pesciolino rosso affetto da Alzheimer dei cittadini.
    Fatti che, quando sono riproposti nella loro patetica successione, mostrano come la nostra democrazia si fondi sulla sabbia perché chi dovrebbe esercitare il ruolo di "cittadino" con relativi diritti e doveri, di fatto, ha preferito di indossare i panni del suddito dove i diritti sono soppiantati dalle concessioni e i doveri sono rimasti inalterati.

    RispondiElimina