venerdì 29 aprile 2022

LA GUERRA IN UCRAINA TRA IPOCRISIA E MENZOGNA

di Torquato Cardilli - Settant'anni fa veniva a mancare un poeta vernacolare, nominato da Einaudi senatore a vita per il contributo dato alla letteratura. Si tratta dello scrittore Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, più noto sotto lo pseudonimo di Trilussa.
I suoi versi in romanesco, dotati di urticante ironia, smascherano l’ipocrisia e la falsità dei potenti ai danni della verità e del popolo che “si scanna per un matto che comanda”.

La sua poesia sulla guerra, in forma di ninna nanna, addita alla riprovazione generale il gruppo di assassini che sanno bene “che la guerra è un gran giro de quattrini che prepara le risorse pe li ladri de le Borse” e poi prosegue “a guerra finita rivedremo li sovrani che se scambiano la stima, boni amichi come prima e riuniti fra de loro senza l'ombra d'un rimorso, ce faranno un ber discorso su la Pace e sul Lavoro pe quel popolo cojone risparmiato dar cannone!”

Lo scopo di Trilussa è di mettere l’accento sull’ipocrisia dei potenti che passano cinicamente dalle invettive politiche agli insulti, dalle minacce alla guerra sanguinosa per mettersi infine d’accordo alle spalle dei morti inutilmente e dei sacrifici del popolo.

La guerra che ha scosso l’opinione pubblica e i mercati, sconvolgendo i commerci di materie prime, scoppiata con l’aggressione della Russia allo stato sovrano dell’Ucraina, contrariamente a quanto costantemente ripetuto dai media, non è iniziata il 24 febbraio 2022. Essa, come una piaga purulenta, aveva infettato i rapporti tra i due Stati, separati dal 1991 dopo un’unione durata secoli, ed è esplosa quando le interferenze americane e l'invadenza politica della Nato fin sotto le finestre di casa russa hanno fatto temere al Cremlino il completamento dell’accerchiamento che avrebbe costituito una grave minaccia da mettere a repentaglio il suo ruolo di superpotenza.

La guerra, che nei primi giorni secondo Putin (a torto o a ragione) aveva il carattere di occupazione di terre russofone del Donbass e del riconoscimento dell’annessione della Crimea, da parte di Zelensky significava solo resistenza senza fine all’aggressione. Ben presto però si è trasformata in una guerra per procura a vantaggio degli Stati Uniti, che, intenzionati a ribadire il proprio ruolo egemone, non aspettavano altro per fiaccare le capacità economiche e militari della Russia imponendo durissime sanzioni che avrebbero finito per danneggiare anche i paesi europei.

Le ragioni politiche di questo nuovo scontro tra titani sono evidenti.

Il Governo di Mosca vive da sempre la sindrome dell’invasione da ovest, subita dolorosamente tante volte: dalla lega polacco-lituana nel 1600, da Carlo XII di Svezia nel 1700, da Napoleone nel 1800, da Hitler nel 1900. Ammaestrata dall’esperienza e dalla rapacità dell’Occidente non vuole più subire minacce e accerchiamento. Per converso a Washington, quale che sia l’inquilino della Casa Bianca, si persegue una costante linea politica di tipo maccartista, ispirata ad un’idea fissa, la stessa di Catone il censore che, nel II secolo a.C., chiudeva ogni suo discorso in Senato con il monito “Carthaginem esse delendam”.

Catone era convinto che non fosse nell’interesse di Roma venire a patti con il secolare nemico Cartagine e allo stesso modo gli Stati Uniti, dalla rivoluzione sovietica in poi, hanno nutrito la profonda convinzione strategica che i conti con Mosca dovessero essere regolati con la forza, anche se tatticamente, durante la II guerra mondiale, hanno combattuto da alleati per annientare il nemico nazista.

Entrambi dalla guerra fredda in avanti hanno fatto largo uso di propaganda, di scorrerie di spionaggio, di colpi bassi, di creazione di alleanze opposte (la Nato nel 1949 cui si contrappose nel 1955 il patto di Varsavia, sciolto nel 1991) di menzogne gigantesche, a volte persino puerili, sempre a danno della verità.

Ora sulla questione Ucraina il sistema dei nostri media, libero e pluralista, si è tutto schierato e appiattito sulle posizioni americane, irridendo il dissenso politico di quanti disapprovano l’escalation militare, anticamera di guerra vera e propria per difendere un paese che non è membro di nessuna alleanza occidentale politica, economica o militare, ma che serve tremendamente al disegno politico americano.

Chi avesse dubbi sul fatto che i leader occidentali, soprattutto quelli che nelle istituzioni europee non hanno competenze militari (il belga Charles Michel, la tedesca Van der Leyen, la maltese Metsola), siano in preda ad una nevrosi collettiva e marcino esaltati secondo i ritmi scanditi dall’America, verso un futuro gravido di conseguenze anche di carattere esistenziale, dovrebbe riflettere su quanto accaduto la settimana scorsa a Ramstein, in Germania, ove sorge la più grande base militare americana in Europa.

Là il mondo ha fatto conoscenza con il ministro della difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin. Due parole su questo personaggio nativo dell’Alabama. Sebbene uscito dalla carriera militare da 5 anni e quindi legalmente impedito dall’assumere una carica di governo (ha goduto di una deroga speciale da parte di Biden) si è presentato in divisa da generale, come se Guerini, nostro Ministro della difesa, fosse andato a rapporto con la fascia di presidente della provincia di Lodi.

Questo ex generale con le mani in pasta e diretti interessi economici in parecchi consigli di amministrazione di imprese e industrie militari, fornitrici di ordigni bellici all’esercito Usa e a quelli dei paesi amici, ha all’attivo una decorazione per aver guidato l’invasione dell’Iraq ove è rimasto fino al ritiro del 2011, ma anche la macchia di essere stato chiamato a giustificare di fronte al Congresso americano il fiasco dell’addestramento dei ribelli siriani anti Assad, costato inutilmente al contribuente mezzo miliardo di dollari.

A Ramstein ha invitato a rapporto, in una specie di consiglio di guerra, come fa un capo militare con il suo stato maggiore, tutti gli omologhi di 40 paesi, ben oltre la composizione della Nato che conta 30 stati membri.

In quella cornice, prettamente militaresca, è stato distribuito a tutti il decalogo delle armi da consegnare all’Ucraina con particolare riferimento ad artiglieria pesante, a semoventi, carri armati, missili, droni e munizioni di grosso calibro.

Guerini è tornato a casa con quella lista che non sarà divulgata, perché considerata segreto militare, ammettendo nei fatti che l’Italia ha varcato la linea rossa del ripudio della guerra stabilito dalla Costituzione, per entrare nel terreno pericoloso della cobelligeranza che significa morte, privazioni e dolori per gli innocenti.

Torquato Cardilli

29 aprile 2022

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