venerdì 18 febbraio 2022

TOO LITTLE, TOO LATE. TROPPO POCO, TROPPO TARDI

di Torquato Cardilli - Oltre un secolo e mezzo fa, nel 1855, nell’epoca dei grandi imperi, Cavour fu tanto abile nel tessere alleanze a vantaggio del piccolo regno sabaudo da farsi pregare dall’Inghilterra perché intervenisse nella guerra contro la Russia, con un corpo di spedizione in Crimea. Le condizioni poste da Cavour stabilivano che la Gran Bretagna trasportasse con la propria flotta il contingente piemontese, che Londra concedesse al governo di Torino con le casse vuote un prestito di 1 milione di sterline senza interesse e che a guerra finita il Piemonte sarebbe stato ammesso tra i vincitori al tavolo della pace per far valere, nel riassetto politico, il diritto alla liberazione del Lombardo-Veneto dall’occupazione austriaca.

Non fu un’impresa militarmente gloriosa (su 18.000 soldati partiti da Genova ne perirono ben 4.500 di colera, tifo, scorbuto, e altre malattie mentre solo 32 furono i caduti in battaglia) ma politicamente molto vantaggiosa per il piccolo regno del Piemonte che entrò nel salotto della politica estera alla pari con le grandi potenze.

Il binomio Di Maio-Guerini, nei giorni scorsi è sembrato folgorato dalla gloria che aveva circondato il duo Cavour-La Marmora ed ha creduto di poter fare altrettanto, giocando la stessa partita tra i grandi, ma senza porre sul tavolo l’esigenza di contropartite.

Nell’acuirsi della pressione militare russa sull’Ucraina, il Ministro della Difesa Guerini, scavalcando il Parlamento e il Consiglio supremo di Difesa, si è sbilanciato nel promettere alla Nato e agli Stati Uniti l’invio di un contingente di 1.000 soldati, gratis, come tributo di vassallaggio.

Da parte sua il Ministro degli Esteri Di Maio, dopo settimane di esitazione con l’occhio agli impegni di politichetta interna, si è deciso a svolgere una missione diplomatica nell’area di crisi. Too little, too late direbbero gli inglesi (troppo poco, troppo tardi): Macron e Sholz (Francia e Germania sono stati i firmatari degli accordi di Minsk da cui noi siamo stati tenuti fuori) si sono recati a Mosca nell’immediatezza del pericolo di conflagrazione, ingigantito dall’isteria americana, per offrire a Putin collaborazione nel raffreddare la tensione.

A Kiev, Di Maio col petto gonfio, fingendo di avere alle spalle un paese ricco con un governo forte, ha promesso garanzie su l'intangibilità delle frontiere e sostegno economico-diplomatico-militare contro la Russia. A Mosca, conscio della necessità che non si interrompa il flusso di gas, timidamente ha ventilato all’astuto omologo russo Lavrov, la possibilità di severe sanzioni europee che, se applicate, faranno più male all’Italia che non alla Russia. Insomma una quasi pernacchietta.

Di Maio non si è chiesto quale sia per noi la reale posta in gioco; quale l’obiettivo massimo e quello minimo della strategia di Putin; quanto sentite siano le spinte autonomiste popolari della regione del Donbass; quanti ucraini russofoni e russofili siano favorevoli alla separazione dall’Ucraina nelle Repubbliche autonome di Donetsk e di Lugansk; quali risultati l’Occidente abbia conseguito con le sanzioni imposte sin dal 2014 per l’annessione della Crimea; quale prezzo si sia disposti a pagare in più ora, specialmente in tema di rifornimenti energetici, per ubbidire agli Stati Uniti e alla Nato; come rapportarsi all’afasia dell’Europa, sorda e cieca di fronte a qualsiasi sfida che vada oltre l’etichettatura di beni di consumo alimentare.

Putin, si sa, è un vero autocrate e con le mani libere si è rivelato un abile giocatore di politica estera di fronte alla cecità tattica e strategica degli Stati Uniti, soprattutto dopo la loro débacle in Afghanistan. Fino ad ora ha vinto tutte le battaglie, compresa l’annessione della Crimea (russa e non ucraina da secoli) diventata un fatto compiuto e la resistenza alle sanzioni occidentali.
Gli allarmi isterici sull’imminente invasione russa dell’Ucraina lanciati da Biden (il Dipartimento di Stato ha ritirato l’Ambasciata da Kiev e la Cia aveva addirittura preannunciato l’invasione per il 16 febbraio), costantemente ridimensionati dal governo ucraino di Zelensky, sono la diretta conseguenza che nessuno a Washington abbia capito la vera natura e le intenzioni della Russia che si è dimostrata stabilmente decisa a garantirsi l’area di influenza in Cecenia 1999, Georgia 2008, Crimea e Donbass 2014, Siria 2015, Libia 2018 fin nel cuore del mare Mediterraneo.
Mosca ha sempre nutrito sospetti per l’espansionismo ad est dell’Unione europea, ma addirittura avversione per l’allargamento della Nato nei territori dell’ex Unione Sovietica, visto come una minaccia militare, fin sotto il giardino di casa.

Come noto, gli Stati Uniti e la Nato si erano impegnati a non oltrepassare i confini della cosiddetta cortina di ferro in cambio della riunificazione della Germania. Invece la caduta del muro di Berlino portò nel giro di tre anni alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e alla progressiva avanzata verso est della Nato inglobando parecchi paesi già sotto il controllo sovietico, fino all’Ucraina (culla della cultura russa moderna), da sempre considerata la “piccola Russia” rispetto alla “grande Russia” del novecento, con una frontiera comune lunga 2200 chilometri.

Per Putin l’ingresso dell’Ucraina nella Nato sarebbe il punto di non ritorno perché farebbe esplodere la sindrome dell’accerchiamento. Per questo Mosca chiede alla Alleanza atlantica di rispettare le intese e di ritirare le proprie forze armate e missilistiche dalla Polonia, dalle Repubbliche baltiche, e dalla Romania.

Se queste sono il massimo delle richieste o pretese russe, fin dove potrebbe essere spinto il negoziato per trovare un punto di caduta minimo? Forse nel considerare come fatto compiuto la questione della Crimea e delle repubbliche autonome.

Sul palcoscenico della crisi, mentre gli Europei agiscono in ordine sparso, un altro protagonista cerca il suo ruolo: la Turchia, unico paese Nato pronto a collaborare con Mosca per ritagliarsi un ruolo di primo piano a livello regionale, desideroso di tornare a contare in regioni come Siria e Libia, un tempo parte dell’Impero ottomano.

Torquato Cardilli

18 febbraio 2022




3 commenti:

  1. In che mani siamo. Sono tronfi, boriosi, inutili e vengono messi ad occupare posti così importanti? Continuare a credere alla muscolosa e bugiarda america che, ovunque va piazza guerre ma mai a casa sua. Altro che Cavour e La Marmora ma neanche Sussi e Biribissi

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    1. Maria, se un giorno fosse l'Italia a rischio invasione non so se parlerebbe così dell'America che volesse prendere provvedimenti per impedirne l'invasione. Tutti anti americani eh?? Ma se fossimo caduti nelle grinfie della Russia forse avreste più rispetto per chi ci ha liberati.

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  2. Ma Di Maio ha cambiato idea riguardo i due mandati e poi a casa per tutti i parlamentari ?

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