martedì 22 febbraio 2022

“TIREZ VOUS, LE PREMIER”

di Torquato Cardilli - Si racconta che il maresciallo di Francia Maurizio di Sassonia, nella battaglia di Fontenoy del 1745, dopo aver nascosto il grosso della sua fanteria in un sistema di trincee dietro un dosso e perciò invisibili, circondato da un piccolo distaccamento, sfidò in modo apparentemente cavalleresco il duca di Cumberland comandante delle truppe inglesi, con il grido “signori inglesi tirate voi per primi!”. Il duca, aizzato dal suo comandante delle guardie, cadde nel tranello e ordinò una nutrita scarica di fucileria. Nell’intervallo necessario per ricaricare i fucili gli inglesi rimasero scoperti e il maresciallo di Francia, presente Luigi XV arrivato per godersi lo spettacolo, diede ordine ai suoi soldati di uscire dalle trincee e sparare in gruppi a ripetizione. Le raffiche di colpi decimarono all’istante le schiere nemiche determinando la vittoria dei francesi.

Volendo fare oggi un parallelo con gli eserciti di Ucraina e Russia che si fronteggiano con il colpo in canna, sembra che Putin militarmente di gran lunga superiore, abbia mimetizzato, con la parvenza di esercitazioni militari congiunte con Lukashenko, una potente forza d’urto sia in Bielorussia sia a ridosso del Donbass (Ucraina orientale), abitato prevalentemente da russi, aspettando che l’Ucraina faccia il passo falso creando il casus belli.

Nell’epoca dei satelliti e di tutte le diavolerie tecnologiche moderne la consistenza e la tipologia dello schieramento russo e bielorusso non sono sfuggite agli americani che hanno immediatamente avvertito l’Ucraina, rifornendola di armi ed aizzandola a non cedere alla minaccia russa. Cadrà Zelensky nel tranello di fare la prima mossa?

Ci sono molti motivi perché il conflitto degeneri dall’una e dall’altra parte, ma ce ne sono altrettanti per fermarsi sull’orlo del baratro facendo prevalere il negoziato con reciproche concessioni.

Per capire meglio la situazione bisogna ripercorrere la storia degli ultimi anni.

Il pericolo di guerra frontale di oggi è nato nel 2014, quando una sollevazione popolare in Ucraina (molte sono le accuse russe di interferenza americana) cacciò il presidente filorusso Yanukovich (rifugiato a Mosca) formando un nuovo governo chiaramente filo occidentale, non riconosciuto dalla Russia.

La risposta di Putin, che considerava la separazione dell’Ucraina all’atto del disfacimento dell’Urss come una dolorosa amputazione, e che pretendeva di esercitare una certa influenza sul paese di confine, è stata l’annessione della Crimea, sulla base di un referendum vinto dai separatisti al 95%. 

L’Occidente non ha riconosciuto valore legale al referendum e ha condannato l’annessione imponendo severe  sanzioni anti russe ispirate dagli Stati Uniti senza tenere conto degli aspetti storici, psicologici e strategici: la penisola della Crimea, a larga maggioranza russofona, strappata dall’impero zarista ai turchi nel XVIII secolo, rimasta russa da allora con l’importante base navale di Sebastopoli, nel 1954 fu donata amministrativamente al governo locale di Kiev dal successore di Stalin, l’ucraino Krushev al termine di una solenne bevuta con i membri del soviet ucraino. 

Nello stesso anno dell’annessione della Crimea i filorussi del Donbass, si rivoltarono contro il governo filo occidentale di Kiev ed assunsero anche con l’aiuto di consiglieri militari di Mosca, il controllo di vaste provincie. Vi proclamarono un referendum per l’indipendenza dall’Ucraina ed istituirono due repubbliche popolari filorusse di Lugansk e Donetsk. Ed anche questo è un fatto compiuto da far valere al tavolo di eventuali trattative.

Il Governo ucraino considerò gli insorti alla stregua di terroristi e inviò sul posto l’esercito per reprimere la rivolta. 

In questi otto anni, anche con la partecipazione di mercenari stranieri da entrambe le parti, si sono succeduti scambi di artiglierie, offensive e controffensive, alternate da tregue precarie, senza che fosse raggiunto un risultato militare o diplomatico.

Da allora l’Ucraina, la cui valuta è tuttora il rublo russo, ha continuato a considerare le provincie sotto il controllo dei separatisti come territorio occupato da rivoluzionari secessionisti da liberare.

Oggi la crisi, per l’irrigidimento delle parti e per le minacce reciproche è giunta a un livello di tensione particolarmente elevato. Ad innescare l’allarme rosso sono stati i pourparler sollecitati dagli Stati Uniti, volti a far entrare l’Ucraina nella Nato e completare l’accerchiamento politico militare della Russia costituito dai 14 nuovi membri della Nato già paesi dell’Urss o sotto l’influenza di Mosca (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Albania, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord).

Mosca non solo vuole impedire che l’Ucraina costituisca l’ultimo anello di questa catena, ma pretende di ricevere un’assicurazione formale sulla sua sicurezza e ridiscutere con Washington l’equilibrio politico militare dell’intera area con il ritiro delle forze Nato e delle armi missilistiche dislocate in Polonia, Lettonia, Estonia, Lituania e Romania.

In questo contrasto politico, anziché mostrare propensione alla trattativa soffia con minacce di sanzioni durissime un vento paranoico da Washington, cui non fa difetto la solidarietà guerresca degli inglesi, interessati a mobilitare la propria opinione pubblica perché in tremendo calo di popolarità a casa propria. 

Chi farà la prima decisiva mossa?

Torquato Cardilli
22 febbraio 2022 



7 commenti:

  1. Mi pare che la prima mossa l'abbia già fatta la Russia entrando nei territori di Lugansk e Donetsk.

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    1. allo stato attuale la Russia non è entrata nei territori di Lugansk e Donetsk; ne ha semplicemente riconosciuto l'esistenza come repubbliche indipendenti frutto della secessione dall'Ucraina

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  2. Una lotta impari tra un rincoglionito pupazzo, schiavo delle lobby delle armi che praticamente tengono in guerra il loro paese da sempre, ed un ex agente del KGB. Agli esportatori di democrazia non gliene frega un cazzo della gente le guerre le combattono sempre lontani da casa loro ma forse stavolta hanno trovato il pane per i loro denti, speriamo di restarne fuori e non farci coinvolgere come nella ex Jugoslavia

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  3. Una precisazione è d'obbligo.
    Nel 2014, non ci fu una sollevazione popolare in Ucraina, ma una invasione di mercenari stranieri che diedero vita ad un vero è proprio colpo di stato, che depose un governo legittimamente eletto, per sostituirlo con uno fantoccio americano.
    Oggi, si verifica ciò che successe a ruoli invertiti nel 1962, quando i russi tentarono di istallare a Cuba, alle porte degli USA, i loro missili balistici.
    Allo stesso modo, Putin, non può accettare che gli americani piazzino le loro batterie missilistiche sul proprio confine. Inaccettabile.
    La domanda più ovvia, anche per i cittadini meno informati dovrebbe essere: Che ci fanno gli americani in Ucraina, a 8.000 chilometri da casa loro, con fior di armamenti in un paese che neppure fa parte della NATO?
    E ancora: Se Putin, decidesse di andare a piazzare i propri missili in Messico, sul confine USA, Biden lo lascerebbe tranquillamente fare, oppure parlerebbe di aggressione?
    Dunque, in Ucraina chi è l'aggressore la Russa o gli USA.

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  4. Analisi molto obiettiva della situazione.

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  5. Interessante e obiettiva analisi che fa emergere le criticità di una situazione molto grave. Purtroppo le manie militaresche e la voglia di "gestire" il mondo sono ancora radicate nelle teste dei governanti delle principali potenze della terra.
    Speriamo in un qualche rinsavimento prima del passo oltre l'orlo dell'abisso.

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  6. un commento equidistante quello del proprietario del blog. poveri noi.

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